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giovedì 20 aprile 2017

Archeologia e Isola d'Elba. L'ipogeo etrusco di Marciana all’“Ultima spiaggia”. Una spettacolare tomba etrusca scavata nel granito nella quale si intravvedono influssi sardi. Riflessioni di Alberto Zei

Archeologia e Isola d'Elba. L'ipogeo etrusco di Marciana all’“Ultima spiaggia”. Una spettacolare tomba etrusca scavata nel granito nella quale si intravvedono influssi sardi
Riflessioni di Alberto Zei



Ho letto poco tempo fa le riflessioni di Michelangelo Zecchini sull'ipogeo di Marciana nell'isola d'Elba e le condivido. Fra l'altro mi sembra che nella realizzazione di quella spettacolare tomba etrusca scavata nel granito, si comincino a intravvedere influssi sardi, che d'altronde non sono inattesi visti gli acclarati rapporti Elba-Sardegna già nell IX-VIII secolo a. C. e visto il toponimo Ilva che l'Elba condivide con la Maddalena.
Talvolta arriva il caso che le eccessive cure a sostegno di una verità zoppa finiscano per sciancarla definitivamente. All'Isola d’ Elba la disputa per il riconoscimento del mausoleo etrusco di Marciana dà ancora spazio ad imprevedibili negazionismi di questa realtà.

L’ ipogeo etrusco – Si ritiene, ormai, che il travisamento della vera natura di questo ipogeo sia arrivato al
limite della immaginazione da parte di chicchessia, tanto da non poter trovare ulteriori supporti, o indebolire le attuali ragioni a sostegno della sua genesi come tomba etrusca.
Ma quale peso hanno gli argomenti contrari alla tesi del sepolcro?  Cos’altro vi sarebbe da dire per disconoscerne la natura?
Pareri professionali  
Una disamina contraria all’interpretazione dell’architettura sotterranea come tomba etrusca è stata recentemente fatta da un insigne cattedratico di etruscologia. Si parla del Prof. Luigi Donati, già ordinario di etruscologia presso l’Ateneo fiorentino nonché attuale Segretario generale del prestigioso Istituto di Studi Etruschi, il quale all'ipogeo ha dedicato un ampio resoconto  nella rivista di storia dell’Isola d’ Elba : “Lo scoglio” del III quadrimestre 2016. Lo studioso, per la vita professionale dedicata alla ricerca della verifica dei reperti dell’antica Etruria, sicuramente possiede esuberante esperienza e conoscenza per esprimere il suo autorevole parere sulla contestata questione. Non resta, quindi, che valutare la consistenza degli argomenti trattati. Egli non crede che l’ipogeo cruciforme di Marciana sia una tomba etrusca. Ma contrariamente a quanto ci si attendeva da uno scienziato come lui, i suoi argomenti si rivelano diciamo...poco convincenti, e pertanto abbastanza confutabili. Questa inconsistenza dimostrativa non poggia a sua volta sulle teorie di chi la critica, anche perché sarebbe presunzione ritenere di conoscere l’archeologia etrusca meglio del Prof. Donati. Le argomentazioni del Professore sono invece, facilmente confutabili da parte di chicchessia, solo facendo riferimento per archeologia comparata, ad altre situazioni analoghe e ripetitive ufficialmente classificate e confrontabili con quelle dell’ ipogeo di Marciana. Ciò consente infatti, di rendersi conto  della singolarità di prese di posizioni alquanto fragili e tali da non far evincere quale condivisibile spiegazione sottenda il parere espresso dall’illustre cattedratico.



In teoria…
Se come si suol dire, “Mille teorie non valgono un fatto”, è agevole rispondere proprio con il fatto che altrove i medesimi dettagli hanno consolidate e ufficiali spiegazioni diverse.  Vediamo ora di cosa si tratta.
Donati afferma che la porta del dromos di Marciana si apre in un angolo dello sperone roccioso mentre per essere etrusca dovrebbe trovarsi al centro. Ebbene: l’ ingresso  si trova proprio al centro perché la roccia granitica è visibile sia a destra che a sinistra, come succede in moltissime tombe etrusche.

Donati afferma che nelle tombe etrusche i bracci che portano alle celle laterali sono “sempre” molto corti, mentre Marciana li ha lunghi. Si può osservare che bracci lunghi esistono in tombe sicuramente etrusche come la tomba orientale di Castellina in Chianti, come la tomba 2 della necropoli di Colle val d’Elsa e come, addirittura, il famoso ipogeo dei Volumni a Perugia.
Donati afferma che la cella di fronte al dromos è “sempre” grande, e non piccola come quella di Marciana. Non è così: piccola è la cella, in asse con il dromos, di Castellina in Chianti e piccole sono le celle di almeno tre tombe della necropoli di Cavalupo a Vulci.
Donati afferma che la camera destra dell’ipogeo di Marciana ha una pianta quadrangolare e una parete sghemba, perciò non può essere etrusca. Si può invece facilmente verificare che celle a pianta quadrangolare con pareti sghembe ci sono perfino in tombe etrusche molto celebri, come quella Francois di Vulci, o come quella dei Cai Cutu a Perugia, o come quella dell’Iscrizione a Chiusi.
Donati afferma che il toponimo ‘La Tomba’, che dà il nome a tutta l’area e alla via soprastante, non si riferisce all’ipogeo. E’ vero che si tratta soltanto di una questione lessicale; ma proprio su questo nome due illustri linguisti, come Remigio Sabbadini e il toscano Silvio Pieri, pensano invece, che quel toponimo ‘tomba’ significhi proprio sepolcro. Difficile è, infatti, immaginare una diversa ragione nell’ attribuire secoli prima alla mappa del catasto Leopoldino significati astratti con quella denominazione, peraltro lugubre.
Donati afferma che non solo gli Etruschi ma neppure i Sardi non hanno mai scavato il  granito perché è una roccia troppo dura. E’ noto il contrario. In Sardegna, infatti, molti sepolcri ancestrali denominati “domus de janas” furono scavati nel granito, così come gli Etruschi, disponendo di utensili più raffinati e idonei erano certamente nella possibilità di ricavare una tomba nell’ambiente interamente granitico del monte Capanne. E la realizzazione dell'ipogeo di Marciana non è forse priva di influssi sardi, come mostrerebbe, fra l'altro, la straordinaria affinità riscontrabile nella concezione figurativa della parete/stele presente nella celletta di Marciana e dei betili tipo Oragiana e Pischinainos.
Donati riferisce che che vi è anche l’ ipotesi che in questo ambiente possa riconoscersi una sorta di “neviera”. Pur apprezzando il pensiero creativo di questo genere, resta però alquanto difficile condividere la funzione di neviera riferita ad una struttura architettonica crociforme senza drenaggio, costata anni di lavoro nel duro granito.

Le figure qui mostrate mettono in evidenza come erano concepite un tempo le neviere e anche le zecche. Questa recente storia dell’ipogeo è stata trasformata, attraverso le critiche a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi sulla sua natura, in una sorta di patologia della verità. Non resta ora da auspicare che proprio da questo suo massimo aggravamento regredisca il conflitto e si restituisca ai cittadini e agli appassionati di archeologia il valore aggiunto dell’ipogeo nella sua autenticità di architettura funeraria etrusca.
E’ pur possibile che qualche cosa sia sfuggita o sia stata anche fraintesa riportando in termini sintetici il pensiero altrui; ma sostanzialmente le divergenze interpretative restano.



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