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domenica 2 aprile 2017

Archeologia della Sardegna. Le tombe e gli eroi. I giganti in pietra di Monte Prama. Riflessioni di Carlo Tronchetti

Archeologia della Sardegna. Le tombe e gli eroi. I giganti in pietra di Monte Prama
Riflessioni di Carlo Tronchetti


L’area funeraria e sacra di Monte Prama, posta nel Sinis di Cabras, si trova in un piccolo avvallamento alle pendici del colle omonimo, sulla sommità del quale sono percepibili i resti di un nuraghe complesso, ormai completamente degradati . Il fondo naturale dell’avvallamento era stato regolarizzato in antico con la stesura di una coltre di terra giallastra e pietrine, assolutamente priva di elementi culturali. Questa terra copriva il terreno sterile, in cui si percepivano ampie e localizzate chiazze di bruciato. Anche lo scavo di queste fossette in cui erano stati accesi fuochi non ha restituito reperti di alcun tipo, ma solo ceneri. Nonostante l’area sia stata interessata da profondi scassi di aratura, in alcune parti del margine occidentale della necropoli si è conservata una sorta di delimitazione in pietre non lavorate di medie dimensioni. Sul lato orientale dell’area, seguendo l’andamento sinuoso del bordo dell’avvallamento, impostava la necropoli. Questa era compresa in uno spazio predeterminato. A Sud si trova l’inizio della necropoli, marcato da una lastra a coltello rincalzata da un grande blocco; le tombe, a pozzetto irregolare coperte da lastroni in arenaria gessosa di cm 100x100x14 di spessore, si stendono allineate verso Nord sino a raggiungere il limite settentrionale. Su questo lato troviamo una prima lastra a coltello di delimitazione, rotta intenzionalmente per collocare l’ultima tomba dell’allineamento, dopo la quale è stata messa in
opera un’ulteriore lastra a coltello che segna il definitivo limite settentrionale destinato alle sepolture. Evidentemente perché lo spazio si era rivelato insufficiente si trovano altre tre tombe adiacenti ad Est le ultime tre settentrionali. L’ampliamento verso Nord della necropoli era impedito dalla presenza di un’altra area di sepolture, di tipologia a cista litica costruita con pietra diversa da quella delle nostre tombe, che assommano in totale a 33. Sul lato occidentale l’allineamento delle tombe è marcato da una serie di lastrine poste a coltello allogate in una fossetta nel terreno vergine ovvero nella terra giallastra di riporto, non conservate ovunque.

Sul lato orientale si mantiene, in alcuni tratti una sorta di delimitazione in pietre di medie dimensioni, talora rozzamente squadrate, legate con terra. Ancora, in alcuni tratti della zona immediatamente adiacente ad Est il filare di tombe, rimangono le tracce di piccole fossette scavate nel terreno in cui erano deposte ossa umane, ma sfortunatamente le arature le hanno completamente sconvolte non lasciando resti determinabili. Altre testimonianze della frequentazione antica della zona si trovano nelle immediate vicinanze. A circa m 20 a Sud-Ovest è una capanna nuragica il cui scavo ha evidenziato il suo utilizzo in epoca tardo-romana per la deposizione di un incinerato entro una pentola afferente alla tipologia di quelle in ceramica africana da cucina, ma prodotta localmente, in cui l’unico elemento di corredo era dato da una moneta bronzea illeggibile, ma le cui dimensioni e peso la riportano senza dubbio ad epoca post-costantiniana. La capanna, precedentemente a questa fase, riporta solo livelli di accumulo con materiali di diversa tipologia e tracce di una frequentazione in età punica nello strato alla base del deposito, segno che la capanna era stata ripulita dei resti di vita precedente già in antico. A circa m 300 a Nord-Ovest si trova una piccola struttura quadrangolare, inglobata in un mucchio di spietramento, dove sono accumulate grandi pietre. I resti visibili di questa struttura sono in opus caementicium. Circa 500 m a Sud si trova un’ultima struttura circolare, verosimilmente una capanna nuragica, nella quale si è impostata una modesta stipe votiva in epoca repubblicana, segnalata da numerosi frammenti di piccola plastica fittile, ma si rinvengono pure elementi culturali riportabili ad epoca nuragica. L’accumulo dei materiali scultorei si trovava esattamente posizionato sopra la necropoli descritta, composta da 33 tombe. Più di 2.000 frammenti in arenaria gessosa, di cui si parlerà più in dettaglio appresso, giacevano sopra le tombe con un andamento che sembra poter far ipotizzare la loro discarica da Est verso Ovest.

I frammenti coprivano infatti le tombe digradando poi verso il terreno che si trova ad Ovest del filare. Le statue e gli altri elementi sono stati gettati quando erano ormai frammentati, in un mucchio informe. Si è utilizzato il termine “gettati” perché è stato rinvenuto un torso di arciere che si è rotto in tre pezzi, rinvenuti in situ, quando è stato discaricato sopra un lastrone tombale. La cronologia ante quem non dell’accumulo è data da un grande frammento di orlo, parete ed attacco dell’ansa di un’anfora punica non databile più in alto del IV a.C., rinvenuta nella parte più bassa del deposito di frammenti di sculture. Ovviamente nella terra infiltratasi tra i frammenti lapidei si trovano materiali di tutti i generi e cronologie, da una fibula bronzea datata alla prima metà dell’VIII a.C. sino a pochi frammenti di ceramica a vernice nera di II a.C.; quest’ultima è stata trovata solo nella parte più alta del deposito, pesantemente intaccata dalle arature, e quindi si ritiene metodologicamente più corretto assumere come elemento datante la discarica il frammento di anfora punica. Come detto l’accumulo si trova esattamente sopra la necropoli, con solo pochissimi pezzi spostati a Nord e Sud di non più di un paio di metri. In totale abbiamo una decina di pezzi su circa 2.000 che sono evidentemente scivolati ai lati del mucchio. Lo scavo della necropoli più settentrionale, condotto da Alessandro Bedini nel 1974/75, aveva restituito solo uno o due pezzi scultorei nella sua parte immediatamente adiacente il mio scavo; una articolata serie di saggi esplorativi nella zona a meridione delle tombe non ha evidenziato né ulteriori frammenti né tracce di frequentazione antica: lo strato di terra che ricopre il terreno sterile è di mediocre potenza, tanto che in quest’ultimo ho potuto agevolmente individuare i segni dell’aratro. Le tombe sono del tipo a pozzetto irregolare circolare, scavato nel terreno e successivamente riempito della stessa terra; la bocca ha un diametro da 60 a 70 cm e sono profondi dai 70 agli 80; sul fondo, decentrata, abitualmente si trova una fossetta. Talvolta le ultime sepolture sono caratterizzate anche dalla presenza di una piccola lastrina irregolare di pietra poggiata sopra il capo del defunto.

Le tombe erano del tutto prive di corredo. Solo la tomba 25 ha restituito un oggetto che può essere interpretato come ornamento del defunto: uno scaraboide egittizzante tipo Hyksos, databile non prima dello scorcio finale del VII a.C.. Oltre ad esso sono stati trovati frammenti di piccoli vaghi di collana in pasta vitrea nelle tombe 24, 27 e 29. Non si può escludere che tali elementi di cultura materiale, date le loro ridotte dimensioni, possano essere stati inclusi nella terra asportata per la creazione delle tombe e poi riversata al loro interno, assieme ai pochi frammenti di ceramica di tipo nuragico. La presenza dello scaraboide, con la sua cronologia sufficientemente definita, ci offre comunque un prezioso terminus post quem per l’impianto della necropoli, quantomeno della sua parte terminale. Si ritiene infatti che la necropoli sia stata utilizzata per più generazioni, con la realizzazione delle tombe al momento della necessità di utilizzarle, come indica, peraltro, anche la sistemazione del suo limite settentrionale di cui si è parlato sopra. Possiamo considerare, dunque, che la necropoli sia stata realizzata nel corso del VII a.C., e mi sentirei di proporre una maggiore definizione nell’arco della seconda metà del secolo. L’analisi antropologica condotta sui resti ossei recuperati nelle tombe 2 ha enucleato l’importante considerazione che gli individui sepolti nella necropoli appartengono ad entrambi i sessi e sono tutti in età post-puberale. Passando ad esaminare i materiali scultorei, questi si possono dividere in tre grandi gruppi: a) figure umane; b) modelli di nuraghe; c) betili del tipo cosiddetto ‘Oraggiana’. Questi ultimi, interi o frammentati, sono realizzati in un materiale assolutamente diverso da quello in cui sono state scolpiti i primi due gruppi e le pietre tombali. Non si esclude che possano essere stati portati sul posto da altre località, nel quadro ideologico della necropoli, che andremo a trattare in seguito. Le statue che rappresentano figure umane si distribuiscono sostanzialmente in due iconografie fondamentali: arcieri e ‘pugilatori che si coprono la testa con lo scudo’. Purtroppo lo stato in cui si sono rinvenuti i frammenti non ha, sinora, consentito la ricostruzione di una statua intera, e pertanto ci si basa solo su ricostruzioni grafiche operate con pezzi pertinenti alla medesima iconografia, mentre, peraltro, esistono numerosi frammenti la cui pertinenza rimane incerta. Abbiamo, allo stato attuale, identificato venticinque statue, delle quali diciassette rappresentano i ‘pugilatori’ ed otto gli arcieri . I ‘pugilatori’ sono, da questo punto di vista, maggiormente uniformi, variando solo nelle dimensioni. L’uomo ha il torso nudo e i lombi cinti da un breve gonnellino desinente posteriormente in forma triangolare. Talora sul gonnellino si percepiscono ben conservati i lacci che lo tenevano legato, raffigurati con cordoncini a bassissimo rilievo, solcati. Il capo è rivestito da una calotta liscia in cuoio o stoffa i cui due lembi ricadono ai lati del collo, al di sotto della quale escono le lunghe trecce. Il braccio destro è rivestito da una guaina che in realtà doveva esser di cuoio, che parte dal gomito e termina ad avvolgere il pugno, sul taglio del quale è raffigurato un elemento romboidale sporgente. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo. Lo scudo è di forma ellissoidale e doveva essere composto da cuoio legato su una intelaiatura lignea. Anche su questa arma di difesa si rileva la modalità della raffigurazione dei lacci indicati con un cordoncino solcato. Non siamo in grado di poter assegnare a ‘pugilatori’ o ad arcieri le parti rimasteci degli arti inferiori e le basi, che tratteremo a parte. Delle caratteristiche del volto e di dettagli tecnici discuteremo appresso.

Gli arcieri presentano più marcate differenze. L’iconografia maggiormente attestata vede il guerriero che indossa una corta tunica che giunge a coprire l’inguine, su cui pende la placca pettorale a lati leggermente concavi. Sembra che il tipo di resa del petto fra i lacci della placca possa indicare che questi reggevano anche una sorta di protezione sino alla gola. La testa in miglior stato di conservazione ci riporta la difesa di un elmo cornuto. I diversi frammenti di arti superiori restituiscono una iconografia con il braccio sinistro che tiene l’arco, mentre il destro presenta la mano tesa in segno di offerta. Ma i diversi frammenti di torso ed arti ci rendono edotti di varianti iconografiche degli arcieri, sulla linea, peraltro, di quanto ci mostrano i bronzetti, di cui le statue, sia di arcieri che di ’pugilatori’, riprendono appunto le iconografie e gli stilemi. Alcuni arti presentano la mano destra che tiene uno scudo, in realtà costruito verosimilmente, con vimini o strisce di cuoio su una intelaiatura lignea; altre figure hanno una specie di corazza, sempre di vimini o strisce di cuoio; un altra presenta sulla schiena una fascia che termina con una frangia ed una decorazione ricamata; un polpaccio è difeso con uno schiniere con profilo a 8; su una testa, in cattivo stato di conservazione, si percepiscono sul retro i capelli, resi con il consueto motivo a spina di pesce. Alcuni frammenti di piccole elementi cilindrici terminanti in piccole sfere possono appartenere alle parti terminali delle corna degli elmi. Infine, almeno in un torso sulla schiena pende la spada nel suo fodero. Le caratteristiche stilistiche delle statue sono identiche: i piedi poggiano su basi subquadrate e sono ampi e larghi, con le dita bene definite; i torsi sono appiattiti, come due prospetti, frontale e posteriore, giustapposti senza la minima ricerca di plasticità. I volti sono caratterizzati dallo schema a T dato dall’ampia e marcatamente definita arcata sopracciliare e dal naso, forte e diritto. Gli occhi sono resi con un grande doppio cerchiello, decisamente realizzato con un compasso o strumento analogo. La bocca, infine, è resa con un breve tratto inciso, che può essere rettilineo o angolare. Le proporzioni delle statue, rilevate su un certo numero di frammenti della medesima iconografia e in buono stato di conservazione, appaiono analoghe a quelle dei bronzetti; la restituzione grafica prospetta l’ipotesi che le più grandi possano aver superato i m 2,50 di altezza. L’analisi stilistica porta ad individuare con piena evidenza che le statue riprendono abbastanza pedissequamente gli stilemi della piccola bronzistica figurata. Le soluzioni per la resa dei dettagli, assolutamente di tipo disegnativo e non plastico, ce lo indicano chiaramente. Da questo dobbiamo inferire la relativa posteriorità della statuaria in pietra rispetto alla bronzistica figurata, che è utilizzata come modello di riferimento estremamente dettagliato. Per le statue di cui è stato sinora possibile proporre una ricostruzione grafica, questi modelli si riconoscono senza possibilità di errore nel ‘pugilatore’ di Dorgali e nell’arciere su spada da Teti-Abini. I modelli di nuraghe si possono dividere in due gruppi: Al primo si riferiscono i modelli di nuraghe complesso, costituiti da una cortina esterna con otto torri unite da spalti, sormontate da un alto mastio centrale. Gli spalti sono notati da tratti verticali incisi. Il secondo è composto dalle parti terminali alte delle torri nuragiche. Queste variano ampiamente di dimensione: si passa da cm 13 sino a cm 70 di diametro. Pur nel variare delle misure rimangono costanti alcuni elementi caratteristici, e cioè la resa del parapetto con una fila di triangoli incisi (che negli esemplari di maggiore dimensione può duplicarsi) ovvero con tratti verticali; la concavità del parapetto medesimo e la quasi assolutamente costante presenza nella parte piana superiore di un elemento conico, riconosciuto come la copertura della scala di accesso al terrazzo superiore. Per quanto riguarda il numero di esemplari ritrovati, siamo riusciti ad identificare sinora otto modelli di nuraghi complessi e tredici di nuraghi singoli, dei quali cinque con il diametro superiore ai trenta centimetri, mentre gli altri sono inferiori ai venti. Per poter meglio valutare l’ipotesi di interpretazione della necropoli di Monte Prama conviene esaminare anche la situazione territoriale in cui il sito si pone, con le valenze etniche e culturali che vi gravitano attorno nel periodo della sua vita. Monte Prama si trova in un territorio ad altissima densità di presenze di epoca nuragica. Praticamente quasi ogni rilevamento ha sulla sua sommità un nuraghe, di dimensioni variabili. Il colle Monte Prama ne ha uno; immediatamente di fronte, spostato a Sud di poche centinaia di metri, si trova il Nuraghe Cann’e vadosu e così via. Di questi nuraghi non sappiamo però assolutamente niente, non conosciamo l’arco cronologico della loro vita, e quindi non siamo in grado di assumerli come presenze reali nel periodo di uso della necropoli. Esiste peraltro un complesso nuragico imponente e gigantesco: il nuraghe S’Uraki di San Vero Milis, spostato a circa km 13 a Nord-Est, che in questi decenni è vivo e vitale, intrattenendo rapporti con le genti fenicie insediate sulla costa. La presenza di ceramiche fenicie ed etrusche concorre con l’eccezionale torciere bronzeo di tipo cipriota per acclarare quanto detto. Il torciere, peraltro, non è isolato in questa zona: più nell’interno un altro torciere è riportato come proveniente da Tadasuni, ma recentissime ricerche tendono convincentemente a riconoscerlo come proveniente dal santuario nuragico di Su Monti di Sorradile, dal quale provengono oggetti di importazione afferenti al medesimo ambito cronologico.

Dall’altra parte della bilancia si trova, invece, il grande centro fenicio di Tharros, spostato poco più di km 10 verso Sud, sul promontorio di Capo San Marco. Che i rapporti fra le comunità indigene e gli insediamenti fenici costieri fossero attivi e fecondi è ormai un dato di fatto accertato. Già abbiamo molto sommariamente accennato ai materiali esotici giunti presso i Sardi e per la controparte basterà ricordare gli oggetti sardi ritrovati nelle necropoli fenicie tharrensi che, in alcuni casi, possono portare ad ipotizzare l’inurbamento di indigeni nella città . La situazione in cui si trova collocato Monte Prama è quindi, dal punto di vista culturale, estremamente viva e vivace e questo ci può indirizzare verso una sua verosimile interpretazione. Sulla base dei dati dello scavo, il programma ideologico di Monte Prama si può leggere in questo modo. Si tratta, a mio avviso, di una necropoli-santuario in cui viene glorificata una famiglia, o una famiglia allargata o un clan, non siamo in grado di poterlo dire con un certo grado di sicurezza, a causa della scarsa conoscenza delle strutture sociali dell’età del Ferro. La necropoli stessa nella sua icnografia e gli elementi rinvenuti costituiscono un complesso messaggio rivolto, ritengo, alla prorompente presenza fenicia localizzabile a pochi chilometri di distanza verso Sud, a Tharros. La localizzazione della necropoli è in un’area pianeggiante fra lo stagno di Cabras e la fascia di basse colline adiacenti il mare. Si colloca quindi lunga la via naturale che porta da Tharros verso il Nord dell’isola ed è in una zona ricchissima di nuraghi di piccole e medie dimensioni, sino ad arrivare a quel vero e proprio gigante che è il S’Uraki di San Vero Milis, pochi chilometri più a Nord-Est. Le sculture antropomorfe si riferiscono, come detto agli arcieri di tipo orante, con la mano tesa, ed ai pugilatori che si coprono la testa con lo scudo. I primi si rifanno in modo eclatante alle iconografie dei bronzetti, che ripetono in modo pedissequo ed in aspetto stilistico assolutamente non plastico ma con evidente intento disegnativo tipico della lavorazione del metallo fuso in matrice di argilla. Non pare dubbio vedere nelle figure di arciere quelli che Bernardini ha chiamato con brillante definizione i ‘signa della guerra’ . L’accostamento di almeno un bronzetto, identico alle statue di Monte Prama, a protomi di cervidi, su una spada votiva, indica che alla guerra era assimilata anche la caccia, secondo una ideologia prettamente aristocratica largamente diffusa nell’ambito del Mediterraneo dal tardo-geometrico in poi, con punte massime nel periodo orientalizzante. Sui pugilatori si è discusso e si discute ancora. Io ho molte difficoltà a vedere in essi dei soldati armati alla leggera per il corpo a corpo. Il capo è coperto solo da una calotta verosimilmente di pelle, come si può interpretare dai lunghi lembi che ricadono sul collo e da cui fuoriescono le trecce. Il petto è nudo e l’unico abbigliamento è il gonnellino a punta triangolare posteriore. Hanno sì lo scudo tenuto con la mano sinistra, ma il braccio destro è tutto inguainato in una sorta di guantone dal gomito alla mano e che comprende anche il pugno. Così questo soldato avrebbe solo la possibilità di sferrare pugni ricoprendosi con lo scudo, senza poter fare altro. Mi pare più verosimile l’interpretazione che ho proposto di personaggi che agiscono i giochi legati al culto, che non escludo possa essere anche di tipo funerario, cioè giochi in onore del defunto. I numerosi modelli di nuraghe si riferiscono, senza ombra di dubbio, al segno del centro del potere del gruppo, potere che dovremo vedere fortemente relato anche alla sfera sacrale. I modelli di nuraghe rinvenuti in posizione eminente in molte capanne peculiari in villaggi legati o meno a un nuraghe, utilizzati in molti casi anche come altari, ce ne rendono edotti in modo palese. Il nuraghe, venerato quando aveva perduto la sua funzione originaria e si trasforma in alcuni casi in sacello, era visto in una ottica che potremmo definire ‘mitica’. Quindi le iconografie della statuaria mettono in forte risalto questi aspetti: il valore guerriero, la pietas legata ai rituali del culto, il centro del potere del gruppo. Ma si può andare anche oltre. La necropoli ha una forma allungata, un poco sinuosa, che, nel suo aspetto originario poteva ricordare allusivamente l’aspetto allungato delle tombe di giganti, aiutata in ciò dalla presenza dei betili, molto di frequente elemento associato con tale tipo di sepoltura. E’ da segnalare che i betili sono realizzati in materiale diverso da quello delle statue.

Non mi sento di poter affermare che betili e statue siano contemporanei; è assai probabile, invece, che siano stati portati a Monte Prama da altri luoghi, verosimilmente da qualche antica tomba di giganti del territorio oristanese. Come ipotesi io proporrei che l’aspetto allungato della necropoli con i betili è voluto, proprio per creare un ideale collegamento con gli antichi monumenti visibili nel territorio, le tombe di giganti, cui le fonti antiche legano rituali di venerazione e culto. In questo modo si allaccia un fil rouge ideologico ed ideale con la mitica e passata età dell’oro, quando gli eroi antenati dominavano essi soli l’isola e costruivano gli imponenti monumenti che ne segnano potentemente il territorio, sia nella vita che nella morte. In questa rinnovata ‘tomba antica’, contraddistinta dagli antichi simboli betilici, giacciono i corpi degli antenati della famiglia, eminenti per stirpe, valore e pietas. Il territorio così segnato è loro, e la necropoli-santuario si pone su una ideale linea di confine tra spazio indigeno e nuovi arrivati, con cui pure i rapporti non erano di ostile contrapposizione, come la documentazione archeologica sta sempre più dimostrando. In concreto io interpreto Monte Prama come un sito in cui l’elemento indigeno, attraverso la disposizione delle tombe e l’imagerie delle statue, afferma la propria identità etnica e culturale Detto in parole povere, banalizzando alquanto il discorso, il programma ideologico potrebbe essere sintetizzato in questo messaggio, immaginato idealmente rivolto alle genti fenicie. Siamo i discendenti degli antichi eroi che giacciono nelle grandi tombe ed hanno costruito i nuraghi, e le loro virtù sono anche le nostre. Qui sono i nostri antenati, potenti, coraggiosi, protetti dalla divinità. Questa è la nostra terra.

Immagini: Museo Archeologico di Cagliari
Fonte: www.monteprama.it

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