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giovedì 19 gennaio 2017

Archeologia funeraria etrusca. Isola d'Elba: ipogeo di Marciana scavato nel granito. Riflessioni di Michelangelo Zecchini

Archeologia funeraria etrusca. Isola d'Elba: ipogeo di Marciana scavato nel granito.
Riflessioni di Michelangelo Zecchini

L'ipogeo si apre a 386 metri s.l.m., sul pendio settentrionale del Monte Capanne (fig. 1), in uno sperone di roccia granodioritica degradante a scarpa all'estremità sud-occidentale dell'abitato di Marciana. L'ubicazione è indicata, qui sotto,  con una freccia blu (fig. 2). Sopra è stato costruito, fra XVI e XVII secolo, l'immobile di proprietà di Grimaldo Bernotti, governatore locale e 'maior domo' della principessa Isabella Appiani.  
Sull'origine e sulla funzione dell'ipogeo, scavato nella roccia granitica e a pianta cruciforme, sono state proposte tre ipotesi:
1)   ZECCA DEGLI APPIANI - “La zecca, risalente al XVI secolo e dovuta ai principi Appiani, si presenta allo stato attuale come una struttura di coniazione monetaria sita al pian terreno della Casa Appiani. Essa consta di un ambiente di ingresso e di un cunicolo a planimetria cruciforme che costituiva il caveau della
struttura”[1].
2) NEVIERA O CISTERNA FORSE DEGLI APPIANI - “Il periodo di realizzazione dell'intero complesso, di epoca imprecisabile, è forse da connettere con la presenza degli Appiani, sotto il cui palazzo è ubicato e con il castello che si trova a pochi metri di distanza. Nonostante la pianta dell'ipogeo si avvicini, anche se solo in parte, a quella di una tomba etrusca (cfr ad la tomba Regolini Galassi di Cerveteri), non vi sono elementi che possano portare a un'interpretazione certa come monumento di età  etrusca a carattere funerario; piuttosto l'opera di scavo all'interno della granodiorite, essendo di gran mole, sembra rappresentare l'impegno di una comunità per un manufatto a servizio della comunità stessa, quale potrebbe essere un neviere o una cisterna”[2].
3). ARCHITETTURA FUNERARIA ETRUSCA - “I dati finora a disposizione portano alla conclusione che quella di Marciana sia una tomba sotterranea etrusca gentilizia, scavata nel granito fra la fine del 600 e il 500 avanti Cristo, purtroppo spogliata del suo ricco corredo funebre in momenti non definibili e privata di riscontri stratigrafici da uno scavo non qualificato eseguito nel deposito residuo pochi anni fa (figg. 4 e 5). L'insieme delle caratteristiche tipologiche riconduce all'architettura funeraria etrusca, compreso  l'orientamento sud-est/nord-ovest dell'asse maggiore”[3]      


                          CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE DELL’IPOGEO
Elementi compositivi: A-Vano di accesso al dromos,  scavato nel granito (indicatore macroscopico è l'andamento delle isoipse dell' area) ma all'aperto (fig. 7); Dromos discendente con due scalini, inclinato di1,5 metri rispetto alla soglia d’ingresso (figg. 8-10);  C-Vestibolo; F- Piccola cella frontale (fig. 11); E e  D- Corridoi di accesso alle camere laterali con nicchie ogivali; (figg. 12-13); H e G- Celle laterali; (figg.14-15);  S- Superfetazioni in  laterizi o cemento (figg. 7, 12).   
                                                                          
INDIZI FAVOREVOLI ALL'IPOTESI DI ARCHITETTURA FUNERARIA ETRUSCA
Indizio n. 1 - Peculiarità dei processi di fatturazione rocciosa  che interessano la struttura ipogea.
I grafici a rosetta qui a lato “evidenziano rispettivamente le discontinuità strutturali rilevate negli affioramenti nei versanti soprastanti Marciana, e i piani verticali delle pareti prodotte dall'escavazione finalizzata alla realizzazione dell'ipogeo. Si può notare che vi è una coincidenza parziale della direzione di un piano (quello delle pareti longitudinali, ma con spaziature a bassa frequenza o ad elevata distanza), mentre sui piani delle pareti trasversali non si ha corrispondenza con le linee di giunti naturali di fratturazione. Da cui la volontà di definire geometrie con lavoro di scavo più gravoso in ordine a ben precise esigenze cultuali, come farebbe palesemente ritenere l'assetto dell'ipogeo”[4].
Indizio n. 2 - Affinità planimetrica fra gli ipogei di Marciana e Castellina in Chianti.
La planimetria dell'ipogeo di Marciana presenta confronti molto stretti con l’ipogeo orientale di Castellina in Chianti, datato al 600  circa a. C.[5]  e con altre tombe a croce sia dell’antica Etruria sia della Sardegna pre-nuragica e nuragica.
Indizio n. 3 -Per realizzare l'ipogeo sono state estratte oltre 200 tonnellate di dura roccia monzogranitica.  Ciò implica una motivazione molto forte che, mentre esclude scopi banali, ben si adatta a una finalità cultuale.                                       
Indizio n. 4 - Il Catasto leopoldino del 1840 e il toponimo “la tomba”.    
                            
Il Catasto leopoldino del 1840 mostra sopra e accanto all’ipogeo due toponimi molto significativi quali “Via della Tomba” e “La Tomba” (fig. 20). A quest' ultimo viene dato un risalto grafico pari a quello di importanti toponimi 'storici' quali Porta di Donna Paola Colonna e La Fortezza.    
Secondo il glottologo Silvio Pieri “L'applicazione di questo nome ... si riferirà spesso a più antiche tombe, ne    rimangano o no vestigia oggi”[6]. Il toponimo La  Tomba, da  tumba, lo troviamo a  S. Miniato  (3 località), Montefalcone, Montepulciano, Montopoli, (2 località), Palaja (3 località), Trequanda, Cetona, Roccastrada, Orbetello, Sarteano, Campo nell'Elba. 
Indizio n. 5 - Il corredo funebre della tomba  di Poggio  scavata  nel granito.
A Poggio località Pianello, distante  in linea d'aria dall'ipogeo di  Marciana circa 1,2 km, nel 1899 fu scoperta una tomba a camera scavata nel granito intorno al 300 a. C. (fig. 21)[7]. Essa, per quanto  più piccola dell'architettura sotterranea marcianese, dimostra che  lo scavo a sottrazione di roccia granitica per scopi sepolcrali non  era estraneo alla comunità etrusca che abitava i pendii del Monte Capanne.

Indizio n. 6 - Incisioni configurate a 'volta' nelle camere.
Le pareti dell’ipogeo presentano sottili incisioni (larghezza: 2-4 mm) che si stanno rapidamente degradando per l'umidità accentuatasi dopo l'apertura al pubblico dell'ipogeo come museo della zecca di Marciana. Non c’è dubbio che occorra intervenire al più presto per salvarle. Alcuni gruppi di incisioni,  specie nelle camere destra e sinistra, sono del tipo cosiddetto ‘a volta’ (figg. 22/24) e certamente non sono frutto della casualità.
Il prof. Umberto Sansoni, direttore del Dipartimento Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di Studi Preistorici, uno dei maggiori studiosi di arte rupestre di epoca preistorica e storica, pur con le riserve dovute al fatto che la sua opinione è basata su foto e descrizioni, ritiene che “le sagome, specie quelle a volta, l'incavo circolare al centro dell'insieme ed un certo ordine compositivo fanno pensare ad un disegno  preordinato con valenze simboliche; la tipologia nota dei segni ed il luogo stesso in cui essi sono posti avvalorano la ipotesi” (gentile comunicazione personale). 
Singolare è il parere di L. Alderighi: “attraverso il braccio destro del transetto si giunge ad un vano scavato nel granito le cui pareti riportano tracce evidenti di piccone, che non sono assolutamente da interpretare con incisioni appositamente realizzate né sono degne di interesse storico artistico”[8]. È appena il caso di notare che la punta del piccone lascia sulla roccia segni del tutto diversi, per niente sottili.                             
Indizio n. 7 – Probabile sostegno architettonico rilevato
Sopra la porta della camera sinistra c’è un elemento architettonico (cosiddetto ‘sostegno rilevato’), emergente di circa 15 cm rispetto al piano,  di tipologia affine a quelli presenti in tombe etrusche di epoca arcaica. È visibile solo parzialmente in quanto obliterato in alto da superfetazioni recenti in pietre e laterizi (figg. 25/26). Potrebbe trattarsi di un sostegno a clessidra simile al tipo presente, per esempio, nell' ipogeo di Grotte di Castro, necropoli di Pianezze, tomba n. 2[9].

Indizio n. 8 - L'aspetto metrologico
Le ricerche metrologiche, grazie alle decisive indicazioni del prof. Marcello Ranieri dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, hanno accertato che la parte ipogea della tomba (il corridoio esterno non è esattamente misurabi-le perché ha subito vistosi rimaneggiamenti  successivi) è  stata costruita su moduli basati sul piede olimpico (πούς ὀλιμπικός=4 παλαισταί=16 δάκτυλοι) corrispondente a 0,3078 metri (fig. 27). All'ipogeo non è applicabile, invece, alcuna misura  lineare usata durante il Medioevo o in epoche successive. Anche l'ipogeo orientale di Castellina in Chianti sembra svilupparsi sulla base del metro olimpico, ma necessitano verifiche. Inoltre è assai vicino il rapporto larghezza/lunghezza che nell'ipogeo di Marciana è di 1:1,21 e nell'ipogeo orientale di Castellina in Chianti di 1:1,24.
Indizio n. 9 - Equinozio di primavera: i raggi del sole  nel dromos
Il  21 e il 15 marzo 2016 (verifiche in situ e successive simulazioni) i raggi del sole (elevazione di 37°82” e 35°18”) si sono allineati rispettivamente alle ore 10,10 (fig. 28) e 10,07 con l'asse maggiore dell'ipogeo (135°/315° rispetto al nord geografico; nord magnetico con correzione di declinazione di 2.47° Est  al 21-03-2016), percorrendo l'intero dromos e giungendo fino al vestibolo (in parte solo virtualmente essendo decentrata rispetto all'asse la porticina che si apre nel muro perimetrale di casa Bernotti). Pur considerando che la cronologia della tomba fluttua  nell'arco di circa un secolo e che gli equinozi si sono spostati nel tempo a causa della precessione (con riferimento a 2500 anni fa è stato calcolato un anticipo di circa 35,7gg.);  pur tenendo nel debito conto la variabilità del nord  magnetico attraverso i secoli (esempio: 10.12° E nel 1590 ma 18.55° W nel 1800, secondo NOAA Magnetic Fild Calculator), tuttavia si fa strada l'ipotesi che tale allineamento - il quale comunque si verifica nel periodo primaverile sensu lato- sia legato al culto della Grande Madre (Cel per gli Etruschi), in origine identificata con la roccia e con la terra dalle quali nasce.  In epoca romana le grandi feste in onore della Dea Madre duravano dal 15 al 27 marzo, segnavano il  ritorno della vegetazione e celebravano il mistero della morte e della resurrezione. Il calendario di Filocalo ne illustra date e sequenze[10].
Indizio n. 10 - L'asse maggiore dell'ipogeo rispetto al templum caeleste
L'asse sepolcrale Est-Ovest ha un orientamento di 135°/315° dal Nord: la regione di 'partenza', secondo la distribuzione del templum caeleste adottata da Marziano Capella (volgere tra IV e V sec. d. C.), è quella  delle divinità marine e solari, mentre la regione di 'arrivo' è quella di importanti divinità del Sottoterra (fig. 29). Un orientamento simile mostra l'ipogeo orientale di Castellina in Chianti che, come si è visto, con Marciana ha anche strette affinità planimetriche e metrologiche.
Indizio n. 11 – L'asse longitudinale dell'ipogeo e l'area sepolcrale dell'Omo Masso
Le 'coincidenze' favorevoli all'ipotesi di architettura funeraria etrusca si chiudono (per ora) con il fatto che, prolungando l'asse Est-Ovest dell'ipogeo, si centra l'area sepolcrale dell'Omo Masso, dove sono state scoperte tombe che  si datano in gran parte fra XI e IX secolo a. C.[11], ma che sembrano essere state utilizzate fino al VII- VI secolo a. C. 
                                           
                LE OBIEZIONI DEL PROF. DONATI
Vengono esposte, infra, le obiezioni  sull'uso sepolcrale dell' ipogeo di Marciana avanzate dal prof. Luigi Donati[12] in un saggio equilibrato (ma a mio avviso in gran parte non condivisibile) comparso su una rivista elbana[13] . Tali obiezioni sono qui riproposte in corsivo tra virgolette, e sono seguìte dalle mie repliche per facilitare il raffronto immediato fra le due diverse opinioni. 
1. Prima obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “Le tombe etrusche sotterranee sicure (numeri a tre cifre) sono tutte scavate, per evidenti ragioni, in masse rocciose relativamente tenere: tufo, peperino, calcare (Populonia), marna, ecc... Non si conoscono utilizzazioni in rocce intrusive come quelle di affiliazione granitica, fra le più dure”.
1. Replica - Le eccezioni, in archeologia, sono quasi una regola: molto spesso c'è  una prima volta. Né bisogna trascurare il fatto che in Sardegna le tombe ipogee (domus de janas) venivano scavate nel granito[14] già molti secoli prima dell’ipogeo di Marciana[15] peraltro  con strumenti (litici e poi metallici con l'aiuto del fuoco e  di imbibizioni di acqua) assai più inadatti rispetto a quelli a disposizione del popolo etrusco (ferro temprato). E non si trattava di escavazioni di poco conto, visto che, per esempio, la camera di una delle tombe di Iselle-Buddusò è grande più o meno come la cella destra (ancora integra) dell'ipogeo marcianese. Forse ancora più convincente è il richiamo alla domus de janas di S. Sebastiano, situata all'interno dell'abitato di Buddusò,  che ha una pianta a croce e che alcuni connettono con il culto della Grande Madre.
2. Seconda obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “L'ingresso del dromos, nelle tombe di un certo tenore scavate sul fronte di una parete rocciosa, si apre sempre in una parte in vista della medesima, mai nell'angolo di un anfratto roccioso quale appare nel caso in esame (il riferimento è alla parete rocciosa che avanza a destra dell'ingresso)”.




2. Replica - In realtà anche a sinistra di chi guarda l'ingresso del dromos (rifoderato con laterizi e pietre nel corso del XVIII-XIX secolo) c'era, e in parte c'è ancora, una parete rocciosa, poi tagliata e sostituita con l'attuale muro (fig. 32) al fine di avere un divisorio più regolare con la stanza adiacente. La 'risalita' della roccia granitica a sinistra risulta evidente  dalle foto scattate prima (fig. 31) e dopo (fig. 32) l'impianto dei tubolari metallici. Dunque in origine l'ingresso era perfettamente centrale (fig. 33) e si trovava alla fine di un corridoio che correva all'aperto fra due ali di roccia, così  come avviene in molti ipogei etruschi. La tomba sotterranea  di Montecastelli, scavata  in in banco calcareo[16], costituisce  un esempio calzante della conformazione esterna dell'ipogeo di Marciana  prima del XVI- XVII secolo, momento in cui sopra il banco granitico fu innalzato l'immobile denominato casa Bernotti. Altrettanto appropriato mi sembra il confronto perfino con il rivestimento a laterizi ('iperfetazione') presente nella porta del dromos in una tomba della necropoli del Portone di Volterra.
3. Terza obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “Nelle tombe etrusche pluricellulari, per quanto ci risulta dai dati di scavo, le celle sulla parete di fondo sono sempre riservate a personaggi di una qualche importanza (capostipite, titolare della tomba, pater familias) con una scala gerarchica decrescente nell'impiego delle celle laterali. In un complesso come quello in esame ci si aspetterebbero una coerente configurazione e appropriate dimensioni della cella di fondo in asse col corridoio, mentre al posto della cella vi è solo un breve prolungamento del corridoio (lungh. m. 1,39; largh: m. 1,09). La mancanza di una cella centrale richiama il caso della tomba est del grande tumulo di Montecalvario a Castellina in Chianti, del VII-VI sec. a. C.. Ma a Castellina, come riporta L. Pernier in Notizie degli Scavi 1916, p. 268, fig. 5, la cella manca proprio perché in quell'unico punto gli scavatori etruschi si imbatterono in uno sperone di galestro imprevisto, a differenza delle altre tre tombe del tumulo...”.

3. Replica - Ma che ostacolo poteva mai essere il masso roccioso abbastanza tenero (galestro), trovato da Pernier 1,20 metri oltre il muro di testa (fig. 34)? Gli Etruschi erano specialisti della lavorazione delle rocce tenere (a confermarlo, peraltro, è lo stesso Donati) e, se ne avessero avuto l’intenzione, avrebbero ampliato la cella a loro piacimento. Se l’hanno costruita così è perché, sic et simpliciter, così l’avevano progettata e  così l'avevano voluta. Inoltre la cella di testa 'piccola' dell'ipogeo di Marciana non è un caso a se stante: a Vulci Mandrione di Cavalupo ci sono tre esempi di cella frontale poco pronunciata (fig. 35) e a Colle Val d'Elsa, tomba n. 1 della necropoli “Le Ville”[17], addirittura non c'è traccia della cella di testa (fig. 36).               
Ma se, poi, si intende procedere con l'analisi delle intenzioni, non c'è dubbio che le osservazioni di Donati sulle cause della esiguità della cella frontale castellinese possano essere estese all'ipogeo di Marciana: anche lì la cella di testa potrebbe essere piccola e non finita ...  Si deve sottolineare, infine, che la tradizione delle tombe a croce senza cella frontale è attestata in Sardegna fin da epoca preistorica/protostorica (fig. 37)[18].
4. Quarta obiezione – Prof. Luigi Donati, cit.: “I bracci che portano alle celle laterali nelle tombe etrusche sono sempre molto corti, tanto che le celle risultano quasi adiacenti al dromos e raramente superano il metro di lunghezza. Nel caso in esame i bracci sono lunghi m. 2,30 e non possono essere stati allungati nel tempo con interventi successivi (le “iperfetazioni” in laterizi non ne alterano le misure)”.
4. Replica - Anche in questo caso, come per la cella di testa, i bracci lunghi dell'ipogeo di Marciana non sono un fatto isolato.  Se dovessimo basarci sulle piccole differenze, non sostanziali, arriveremmo all’abnorme conclusione che tre delle quattro tombe del tumulo di Montecalvario, come rilevò lo stesso Pernier profondamente diverse l'una dall'altra, potrebbero non essere etrusche. Il fatto è che nel territorio dell’antica Etruria è così dovunque, perché nella concezione dell’architettura sepolcrale degli Etruschi non è mai esistita una tipologia fissa, per così dire in serie. L’insieme poteva variare nelle dimensioni, nell’orientamento, nella disposizione degli elementi compositivi, nella materia prima. La regola non è l’uguaglianza ma è, di fatto, la diversificazione, dovuta a fattori mutevoli quali la committenza e lo stato sociale, la natura e la geologia dei luoghi, la capacità e l’estro della manovalanza, pur all’interno di uno schema nel quale comune denominatore è l’impronta culturale di un popolo. Questo concetto vale anche per i bracci, che non sempre sono “molto corti” come asserisce Donati. Esempi: anche prescindendo dalle tombe di  Montecalvario (fig. 39), nella tomba n. 2 di colle Val d'Elsa (fig. 40) i bracci distano dal vestibolo 1 metro e dal dromos 2 metri, mentre nel famoso ipogeo dei Volumni (fig. 41), a Perugia, i bracci sono distanti dal vestibolo circa 1,60 metri e addirittura 2,60 metri rispetto ad dromos.

5. Quinta obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “Per gli Etruschi, come noto, la tomba era la casa dell'eternità. Pertanto, a differenza delle abitazioni reali che erano realizzate in materiale deperibile, doveva essere costruita in pietra o scavata nella roccia. Nelle tombe in roccia ci si preoccupava di scegliere situazioni di piena affidabilità ai fini della durata. In particolare, se la roccia non si elevava sufficientemente rispetto al terreno, il dromos scendeva con una pendenza molto forte in profondità, come si può vedere, fra i tantissimi esempi, nelle vicine necropoli di Populonia sopra menzionate. Tutto questo non si  riscontra nel nostro caso, in particolare in corrispondenza della camera sinistra, che allo stato attuale si presenta coperta con una volta di laterizi e pietre. Sia che lo si consideri un intervento avvenuto in un secondo momento (“metà del XX secolo”: Zecchini 2014, p. 96) o in altre circostanze, significa che lo spessore della roccia era comunque molto sottile”.
5. Replica - Per l'appunto: quale casa può essere più eterna, meno deperibile, più affidabile, più duratura di una casa scavata nel granito qual è l'ipogeo di Marciana? La volta/soffitto (moderna) a laterizi e pietre (fig. 42) della camera sinistra non lascia intuire né le motivazioni della sua costruzione, né cosa può esserci al di là (non è mai stata effettuata alcuna verifica), né quale fosse l'altezza originaria della cella. Di conseguenza le valutazioni sullo spessore “molto sottile” della roccia sono prive di riscontri e, come tali, lasciano il tempo che trovano.  
6. Sesta obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “Cella destra: ha una pianta quadrangolare, in quanto la parete destra è sensibilmente sghemba e va a lambire lo stipite in mattoni della porta; cella sinistra: presso l’angolo ovest il piano pavimentale non è stato finito; pertanto vi emerge una notevole protuberanza rocciosa... La forma anomala della camera destra e l'aspetto stranamente (o apparentemente?) non finito del pavimento in quella di sinistra, comunque inadatto ad ospitare un defunto. Due dati difficilmente spiegabili in un monumento funebre di prestigio”.
6. Replica - È vero: la pianta della camera destra non è perfettamente geometrica, il pavimento di quella sinistra presenta nell'angolo sud-orientale una leggera protuberanza: ma sono anomalie così marcate da far respingere l'attribuzione dell'ipogeo marcianese agli Etruschi e a un uso sepolcrale? Credo proprio di no. Le irregolarità e le imperfezioni geometriche sono comuni negli ipogei etruschi. Quanto a “pareti sghembe” non c'è che l'imbarazzo della scelta:  si veda per esempio, la pianta della Tomba dell'Iscrizione[19] nella necropoli di Poggio Renzo a Chiusi, oppure l'ipogeo conosciuto cone l'Agresto di Colle d'Elsa, o ancora la tomba Pierini di Colle Val d'Elsa. Per le imperfezioni si prenda come esempio, fra i tanti possibili, il caso dell'ipogeo dei Volumni a Perugia, monumento funebre di alto prestigio. Ebbene: il rilievo morfometrico con laser scanner e stazione totale ha evidenziato irregolarità nell'atrio, nel columen (rastremazione), nel piano di calpestio (quote non costanti), le camere laterali di testa sono asimmetriche (angolazione accentuata rispetto alle altre celle)[20]. Se si parte dall'idea di forme geometriche perfette, si tratta indubbiamente di anomalie ma tanto ininfluenti che, anche se fossimo privi del conforto dei corredi, a pochi verrebbe in mente di utilizzarle per mettere in dubbio l'attribuzione culturale e funeraria del monumento.
7- Settima obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “In alternativa cosa potrebbe essere l’ipogeo? Sono state fatte due ipotesi. La prima è che nell’ipogeo si potesse riconoscere una sorta di “neviera”, intendendo con tale termine un ambiente refrigerante per conservare sostanze alimentari. Tale locale, posto all'interno dell'abitato di Marciana, avrebbe potuto sfruttare in loco la neve delle “neviere”che si trovavano sul monte proprio sopra a Marciana: quella detta Buca della Nivera, fra il Monte Capanne e Le Calanche; e le due nivere documentate presso il Santuario della Madonna del Monte (una neviera canonica “grande” della consueta forma tronco-conica, visitata da Napoleone nel suo soggiorno del 1814, ed una “piccola” realizzata nella più inconsueta forma rettangolare)[21]…La seconda ipotesi è che l'ipogeo fosse un apprestamento, una sorta di caveau, facente parte della locale zecca che doveva essere di modeste dimensioni[22] stando a come la definisce Guido Antonio Zanetti ... Da quanto riferisce lo Zanetti, se la notizia è attendibile, si dovrebbe concludere che la zecca vera e propria dovesse essere sistemata al di sopra dell'ipogeo, oppure negli ambienti sul fianco sinistro (che non ho potuto visitare)... Oppure l'ipogeo avrebbe potuto essere entrambe le cose in successione nel tempo... o nessuna delle due cose, e quindi ancora altro? Di questo non mi intendo e quindi non mi esprimo... sono stati avanzati dubbi che hanno ragione di esistere, ma non sono più circostanziati e numerosi di quelli che impediscono ad un etruscologo di riconoscervi un monumento di sua competenza”.
7. Replica – Le congetture di zecca e di neviera, di ambiente refrigerante e di caveau, riportate da Donati ma di altrui paternità, sono tanto poco verosimili da attirare una lunga sequela di argomentazioni contrarie (si veda infra).
Luigi Donati desta  marcate perplessità  allorché afferma che i dubbi circa l'ipotesi di ipogeo etrusco sono altrettanto circostanziati e numerosi di quelli che concernono le ipotesi di neviera e di zecca: le tre ipotesi, insomma, avrebbero lo stesso indice di affidabilità. È un'affermazione non condivisibile: a mio avviso, infatti, le incertezze, che nel primo caso sono non sostanziali e tutt'altro che inconfutabili, nei due casi rimanenti diventano macroscopiche e avvertibili da chiunque in quanto non convincenti sotto il profilo logico. Mi spiego meglio: lo scavo a sottrazione di oltre 200 tonnellate dalla dura roccia granitica, che ha comportato anni e anni di pesante lavoro, deve aver avuto nel committente motivazioni molto forti, visto anche il poderoso sforzo economico. Forse che può essere considerata motivazione molto forte quella di ottenere, con un'immane escavazione, una banale ghiacciaia o una zecca? Forse che l'una e l'altra non potevano essere costruite in quattro e quattr'otto con le tecniche tradizionali producendo un immenso risparmio di tempo e di danaro? Poniamo in evidenza un altro aspetto basilare: avendo come base la pianta dell'ipogeo etrusco di Castellina (fig. 44), si confronti la stessa con la conformazione dell'ipogeo di Marciana (fig. 43), di due zecche del Cinquecento quali Lucca (fig. 45) e Venezia (fig. 46), nonché della buca della 'nivera' marcianese (fig. 47) citata da Donati e della neviera di Masi Torello (fig. 48), secondo L. Alderighi[23] apparentata con l'ipogeo di Marciana. E' così difficile distinguere quali, fra questi monumenti, mostrano strette somiglianze oppure marcate differenze? La risposta a tale quesito è data, con la forza dall'evidenza, dalla foto e dagli schemi planimetrici riportati infra alle figg. 44-49.

SEQUELA DI NO ALL'IPOTESI ZECCA
Il primo no all'ipotesi zecca giunge dalla Soprintendenza BAPSAE di Pisa e Livorno: “non appare credibile la destinazione dell’ipogeo a zecca, evidentemente bisognosa di spazi più idonei per le lavorazioni del metallo”[24]. Segue, autorevole e perentorio, il parere negativo della prof.ssa Lucia Travaini dell'Università di Milano: “L'esistenza di una zecca a Marciana, accennata da Zanetti, non trova conferme numismatiche e soprattutto gli ambienti nei quali oggi si presume abbia avuto sede non sono assolutamente idonei  all'uso come zecca ...la struttura sotterranea attuale sede del 'Museo Numismatico' non presenta nessun requisito idoneo … La storiografia italiana (e non solo) presenta molti casi di zecche 'inventate', o per lo meno ingigantite, per amor patrio (quasi un mito delle zecche)”[25].
Esiste, in effetti, un cumulo di motivazioni, peraltro non di poco conto, che copre di una coltre di dubbi l'ipotesi della zecca marcianese. Esaminiamole.
-  La tradizione orale è troppo recente per essere considerata di qualche peso, tant'è che il Catasto Leopoldino del 1840 registra la zona come “La Tomba” e non come “La zecca degli Appiani”. Altrettanto dicasi per la tradizione scritta: la prima proposta, non motivata, di identificazione fra ipogeo e zecca risale al 1964[26].
-  Il settecentesco numismatico Guido Antonio Zanetti così si esprime al riguardo: “Tali sono le monete, delle quali m'è riuscito aver notizia, col nome dei principi di Piombino. Questi le fecero coniare nella propria zecca, che avevano fatto erigere sì in Piombino, in luogo vicino alla Cittadella, ove ancora si conserva la Fabbrica, sebben negletta, che in Follonica; come pure nell'Isola d'Elba oltre Rio ed anche in Marciana restando oggidì nominata una stanza di ragione della Casa Bernotti la Offcina della Zecca”[27].
Occorre rilevare, prima di tutto, che se Zanetti avesse inteso davvero riferirsi all'ipogeo, avrebbe parlato non di una sola stanza ma di più stanze, stante il fatto che l'ipogeo stesso è composto da corridoio orizzontale, dromos discendente, vestibolo, piccola cella frontale, due corridoi e due 'stanze' laterali, e quantomeno avrebbe aggiunto sotterranee.
c – Luciano Giannoni, uno dei massimi fautori dell'ipogeo come zecca, o comunque come caveau della stessa, evidenzia giustamente che quattro officine per uno stato che contava non più di 6.000 abitanti erano eccessive ed esclude le due che non rispondono a nessun criterio funzionale, cioè Follonica e Rio, oltretutto piccoli centri ben poco difendibili. A suo avviso restano Piombino, con l'officina "...nei pressi della Cittadella...(residenza dei principi) e Marciana nella "casa Bernotti..." che guarda caso era il majordomo dei Ludovisi sull'Elba”[28]. Conseguenza prima di questo tipo di ragionamento è che la testimonianza dello Zanetti è poco affidabile e, così come ha sbagliato per due zecche (volutamente o no poco importa), può avere errato anche per la terza, quella di Marciana, peraltro piccolo centro assai poco difendibile – come dimostrano gli esiti dei devastanti attacchi barbareschi - non diversamente da Rio e da Follonica. Rimane da aggiungere che in questo modo Giannoni  sconfessa sostanzialmente il numismatico Zanetti, sua fonte essenziale per la costruzione dell' ipotesi 'zecca'.
- In Toscana e in Italia (e forse nel mondo) non c'è un solo locale adibito a zecca che sia fatto come l'ipogeo a croce marcianese o che a quello assomigli sia pure vagamente.
- Nel cunicolo della zecca non è stata scoperta alcuna moneta o sua parvenza. I fautori della zecca asseriscono che essa ha avuto una lunga attività, ma omettono di precisare che non è stata mai trovata, in nessun luogo dell' universo conosciuto, una sola moneta riconducibile alla zecca marcianese.
f - Nel deposito archeologico della zecca marcianese non è emersa la benché minima traccia delle fasi di coniazione.
- Agli inizi dell'ultimo decennio del XVI secolo l'imperatore Rodolfo II, nominando Jacopo VII Principe di Piombino, gli riconfermò il privilegio di battere moneta aurea et argentea: si tratta di un dato univocamente accettato. Ma non c'è scritto da nessuna parte che l'imperatore abbia indicato di costruire una zecca a Marciana e che tale zecca sia stata usata.
-  Non c'è alcuna emissione monetale della zecca di Marciana registrata nel Corpus Nummorum Italicorum; quest'ultimo (Toscana zecche minori, XI volume, 1929, p. 207) liquida la questione con queste parole: “Marciana. Nell'Isola d'Elba. Secondo Zanetti sembra che i principi di Piombino, oltre che in questa città tenessero aperta una zecca anche in Marciana. Non si conoscono però monete che portino il nome o il segno di questa zecca”. Dal 1929 a oggi le monete provenienti dalla molto supposta zecca di Marciana sono ancora zero.
i - Per quanto riguarda la zecca di Marciana non esiste un elenco dei nominali messi in circolazione dall'autorità emittente, né ci sono notizie sui nominativi del personale della zecca e delle relative mansioni.
- Tranne la predetta, succinta menzione di G. Zanetti (1775), generica e molto poco indicativa anche perché il numismatico è ritenuto un po' troppo dedito all'esaltazione del Principe, la zecca di Marciana è bellamente ignorata sia dagli attenti eruditi elbani del tempo, sia dai viaggiatori/scrittori del “Grand Tour” (XVIII-XIX secolo), sia da qualsivoglia fonte documentaria o archivistica. A voler essere pignoli, una seconda citazione della zecca c'è in Lorenzo Taddei Castelli[29], ma egli non fa che riprendere la notizia da Zanetti in maniera ancora più generica: “Nel 1588 risiedeva in Marciana il Signore di Piombino, e vi è sempre il locale, dove in antico si batteva moneta, che si chiama la Zecca”.  Esistono forti dubbi che Taddei Castelli abbia visto il locale al quale accenna. Per comprendere il tenore della sua testimonianza, basta leggere la frase precedente: “Alla riva del mare presso Marciana vi è un sotterraneo nel granito, che si chiama Cava d'Oro, ed è quasi sempre inondato dall'acqua del mare medesimo”. È appena il caso di far presente che in realtà il citato cunicolo minerario, che si apre in località Maciarello con uno stretto ingresso rivolto a nord, si trova circa 15 metri sopra il livello del mare ed è appena bagnato dagli spruzzi delle più violente mareggiate. Inoltre, stante il fatto che la locuzione “sotterraneo del granito” gli era nota, avendola usata per la Cava dell'Oro, se l'pogeo marcianese lo avesse visto davvero lo avrebbe qualificato così o con un'espressione del genere.
- Non appare credibile che gli Appiano abbiano collocato la loro zecca nell'ipogeo, ambiente privo sia di luce sufficiente sia dell'aerazione indispensabile nel processo di  lavorazione dei metalli e vitale per gli stessi addetti ai lavori.
L - Non si capisce perché gli Appiano debbano aver intrapreso un lavoro immane e costosissimo (tale è da considerare lo scavo di 200 tonnellate di roccia granitica) mentre, con poca spesa e in tempi rapidi, avrebbero potuto costruire un immobile, ampio e luminoso, da adibire a zecca.
m - Sarebbe illogico ammettere che gli Appiano abbiano voluto scavare un immenso 'caveau' lontano dalla fortezza (che si trova circa 75 metri più in alto) e, per di più in una zona aperta, facilmente identificabile e indifendibile in caso di attacchi corsari, brutali e distruttivi, come quelli perpetrati ai danni dell'Isola, Marciana compresa, nel XVI secolo, da parte di Ariadeno Barbarossa e di Dragut.
n - Che cosa, gli Appiano, avrebbero dovuto nascondere e proteggere nel grande caveau marcianese? forse il tesoro di Montecristo o le riserve auree di Fort Knox? Anche in questo caso è lo stesso Giannoni a rispondere indirettamente a tale domanda ironico-retorica affermando che, eventualmente, a Marciana si sarebbero coniate monete di poco conto: “Dovendo fornire di propria moneta l'isola era molto meno rischioso trasportare da Piombino all'Elba il rame che non le monete già coniate. Parlo di rame perché da alcuni documenti che ho trovato di recente nell'Archivio Segreto Vaticano risulta che l'argento fosse utilizzato rifondendo monete spagnole (Portolongone) o fiorentine (Portoferraio) presenti sull'Elba. Da questo documento avrei motivo di supporre che sull'Elba venisse coniata solo moneta di piccolo taglio (mezzi giulij, crazie e quattrini) che serviva all'uso quotidiano della popolazione”[30].  
In altre parole: chi può credere che gli Appiano abbiano costruito un capolavoro di caveau per custodirvi monetine da elemosina?
o - Di un'impresa titanica, molto lunga e onerosa, qual è da considerare l'escavazione di una gran massa di granito, dovrebbe essere rimasto un ricordo multiplo e vivace negli archivi; al contrario, non ne è stata scoperta la minima traccia né in quello di Marciana, né in quelli di Piombino o di Firenze, né in quelli del Vaticano, né altrove.
- Il Palazzo (o Casa) degli Appiani di Marciana, che viene sempre associato alla zecca quasi come condicio sine qua non dell'esistenza della stessa, in realtà è sconosciuto ai documenti.
A questo punto è da prendere in seria considerazione una verità scomoda per certuni, ossia che la zecca di Marciana sia da inserire fra le molte zecche mai esistite, create ad arte nel passato per “provare l'autonomia di una località oppure desunte da errate letture di documenti scritti”[31]. D'altronde l'importanza di Marciana nell'ambito dello scacchiere geo-politico della Toscana e della stessa Signoria (poi Principato) degli Appiani dovette essere 'residuale': né è controprova, per esempio, il fatto che nella nutrita documentazione dell'Archivio di Stato di Firenze riguardante la “Casa d'Appiano”, pubblicata di recente (Miscellanea Medicea III, 2014), il nome di Marciana compare una sola volta (filza 562, anno 1612).

ARGOMENTI CONTRARI ALL'IPOTESI NEVIERA

Dopo aver affermato, come si è visto, che l'ipogeo “sembra rappresentare l'impegno di una comunità per un  manufatto a servizio della comunità stessa, quale potrebbe essere un neviere o una cisterna”[32], L. Alderighi replica la sua opinione asserendo che “A supporto della funzione di neviera o cisterna potremmo addurre la somiglianza con la neviera della Tacchinella a Canzano (TE), che, sebbene di dimensioni più ampie, ne ricorda alcuni particolari come il corridoio in discesa e le nicchie per i lumi, oppure la neviera di Masi Torello (FE) che, pur anch'essa rivestita da una cortina di laterizi come quella della Tacchinella, presenta un cordolo in rilievo a circa 1 m di altezza da terra come l'ipogeo di Marciana”[33].
Occorre rilevare che sia la neviera di Tacchinella sia quella di Masi Torello  sono totalmente difformi dall'ipogeo di Marciana per pianta (circolare) e materiali da costruzione (laterizi).  Nella seconda, per di più, il cordolo citato dall'Alderighi ha ben poco a che vedere con la risega o zoccolo dell'ipogeo marcianese.È da notare infine che l'immobile (Casa Bernotti) costruito (questo sì in epoca appianea!) sopra l'ipogeo, ha un orientamento diverso (120°SE/ 300°NW) rispetto a quello dell' architettura sotterranea (135°SE/315°NW).
Contrario all'ipotesi neviera è l'arch. Riccardo Lorenzi della Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa, che così si esprime: “Appare poco credibile l’enorme lavoro di scavo nella roccia granitica per il solo recupero di ambienti del genere, così angusti e particolari, destinati alla sola conservazione o all’immagazzinamento di beni e cibi e bevande”[34]Simili a quelle di Lorenzi sono le valutazioni delle prof.sse Barbara Aterini[35] e Lucia Lo Priore[36] (cortese comunicazione personale), due specialiste degli studi sulle neviere.
In conclusione, l'ipogeo di Marciana non è una neviera perché: 
-  non presenta altre aperture oltre al corridoio d'ingresso;                                                                                                    
-  non ha  buche di carico;                                                                                                                                     
-  non ha in alto un camino di aspirazione che permetta la circolazione dell’aria;  
-  non presenta aperture o canali per la fuoriuscita dell’acqua di fusione;  
- non esistono neviere con pianta a croce o con architettura sia pure lontanamente simile; 
-  non è credibile che qualcuno (principe o comunità poco importa) abbia potuto procedere all'escavazione di  circa 200 tonnellate di granito per ricavare un semplice ambiente refrigerante.

CONCLUSIONI
Non si può non concordare con Donati sulla “incompletezza delle indagini” finora effettuate sull'ipogeo di Marciana. Ci sarebbero diversi aspetti da approfondire, ma chi avrebbe avuto il potere e il dovere di farlo nei tre anni passati da quando è iniziato il dibattito si è mosso ben poco. Né - questa è la libertà di ricerca - è stata data la possibilità allo scrivente e ad altri studiosi di compiere le verifiche desiderate.
Ciò premesso, si deve rilevare che alla luce delle conoscenze attuali una pluralità di dati multidisciplinari porta alla conclusione che l'ipogeo altro non sia che una tomba etrusca gentilizia, forse non priva di influssi sardi, scavata nel granito probabilmente fra il VI e il V secolo avanti Cristo, purtroppo spogliata del suo ricco corredo funebre in momenti non definibili o, con assai minore verosimiglianza, non usata per motivi che potrebbero essere i più vari.
Le rimanenti ipotesi (zecca, neviera, cisterna degli Appiani o comunque di epoca post rinascimentale) non presentano elementi tipologici, documentali, toponomastici, logici a loro conforto e, di conseguenza, appaiono prive di fondamento. Si sta parlando, ovviamente, delle origini e delle funzioni originarie del monumento, non dei suoi riutilizzi. È opportuno precisarlo perché nel dibattito si è verificato talvolta che, all'occorrenza, il concetto di funzione originaria è stato fatto traslare ad arte, quasi che fossero la stessa cosa, sul concetto di “riuso”. Anche se in questa sede ha un interesse marginale, si precisa che, in epoca recente (fine XIX secolo/Anni Settanta), è documentato un riuso come deposito di vino, di vettovaglie varie, di ricovero per attrezzi da lavoro di un fabbro. Non ci sono seri indizi che l'ipogeo sia servito, in momenti non precisabili, come ambiente refrigerante o per contenere metalli adatti a coniare monete per una zecca che si trovava altrove, e tuttavia non si può neppure escluderlo in assoluto, così come non si può escludere  che sia stato usato a mo' di riparo per animali o di rifugio per esseri umani in tempi di guerra, o chissà per cos'altro.
La strada maestra della ricerca dovrebbe partire da una constatazione che è al contempo un programma di indagine: è un dato di fatto che per realizzare l'ipogeo sono state estratte oltre 200 tonnellate di roccia granodioritica e l'intervento, che presuppone forti motivazioni, ha comportato un grande sforzo economico e lunghi tempi di lavorazione (senza dubbio anni e anni), sia per la durezza del granito sia per la ristrettezza del dromos e dei corridoi nei quali poteva operare un solo scalpellino. La si vuole individuare e analizzare questa motivazione forte, oppure è preferibile continuare a inoltrarsi in sentieri che sono autentici culs-de-sac? È forse da considerare “forte” la motivazione di chi (Appiani o altri) si sarebbe speso in un'opera titanica per ricavare una geometrica neviera cruciforme per un manipolo di abitanti, o una cisterna là dove  acqua ce n'era in abbondanza, o una coassiale zecca esposta alle devastanti incursioni piratesche, o un inutile caveau per monetine di terz'ordine, mentre avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato, con un enorme risparmio di tempo, di energie e di denaro  utilizzando altre tecniche di costruzione conosciute e consolidate (per esempio pietre, laterizi e calce)? Mutuando un concetto espresso dal prof. Mallegni[37], si può concludere che con i dati finora a disposizione non si scorgono all'orizzonte - eccezion fatta per quella di monumento funerario etrusco - altre proposte che abbiano una parvenza di attendibilità. Se per caso qualcuno le avesse, sarebbe opportuno che le presentasse senza remore alla comunità scientifica. 



[1] S. Ferruzzi, Zecca di Marciana. Progetto di riqualificazione storica ad uso didattico e museale, s. d. (2008?).
[2] L. Alderighi, in nota Soprintendenza Beni Archeologici della Toscana, 27-10-2014 prot. 16720.
[3] G. A. Centauro, C. A. Garzonio, M. Zecchini, Conservazione dell'architettura funeraria etrusca. Il caso dell'ipogeo di Marciana scavato nel granito, in RA-Restauro Architettonico, Università di Firenze, 2, 2015.
[4]  G. A. Centauro, C. A. Garzonio, M. Zecchini, Conservazione, cit., 2015.
[5]  L. Pernier, Castellina in Chianti. Grande tumulo con ipogei paleoetruschi sul Poggio di Montecalvario, in Notizie Scavi, 1916,  pp. 263-281.
[6] S. Pieri, Toponomastica della valle dell'Arno, 1919, p. 361.                                                        
[7] Cfr. M. Zecchini, Elba isola, olim Ilva, 2014, p. 100. Va precisato che nella tomba, sul finire dell'Ottocento, si imbatterono alcuni operai, che non erano certamente in grado di valutarne l'artificialità o meno. Il loro racconto è stato poi ripreso da vari autori, secondo i quali si tratterebbe di una cavità naturale. Sta di fatto, però, che, pur considerando eventuali adattamenti, la 'cavità' presenta una forma geometrica tutt'altro che simile alle cavità naturali granitiche (tor, tafoni, spaccature) usate come sepolture dagli Etruschi nel territorio insulare (Montecatino, Madonna del Monte, Omo Masso, Serraventosa, Bagno, Monte Moncione). Per di più le formazioni granitiche naturali dell'Elba risultano essere state utilizzate fino al 550 circa a. C. e mai in epoca ellenistica. 
[8]  L. Alderighi, nota Soprintendenza Archeologia Toscana del 01-07-2015, prot. 10359.    
[9] Cfr. A. Naso, Architetture dipinte: decorazioni parietali non figurate nelle tombe a camera dell’Etruria meridionale: VII-V sec. a. C., 1996, figg. 152-153, 154, pp. 202-205, fig. 1 di p. 210, pp. pp. 282-283.                                                                                                
[10]  Si veda A. M. di Nola in Enciclopedia delle religioni,  1971, II, cc. 142-159).               
[11]  Cfr. M. Zecchini, Isola d'Elba: le origini, 2001, p. 60 s.
[12] Già ordinario di etruscologia all'università di Firenze e attuale segretario generale dell'Istituto di Studi Etruschi e Italici.  Sono lieto che Donati  abbia avviato sul problema un serio confronto scientifico: le ricerche future diranno qual è la soluzione giusta.
[13] Cfr. Considerazioni sull'ipogeo di Marciana Alta, in “Lo Scoglio”, dicembre 2016, n. 108. Le obiezioni di Donati erano state sostanzialmente anticipate nella nota alla SBAT del 16 dicembre 2015 dal titolo “Considerazioni sull'ipogeo di Marciana”.
[14] Mi pare che su tale argomento esista una buona bibliografia (si vedano, per es., A, Taramelli, Buddusò, Monumenti preistorici varii, in Notizie Scavi 1919, pp. 128 ss.; E. Contu, L'ipogeismo nella Sardegna pre e protostorica, in L'ipogeismo nel Mediterraneo: origini sviluppo, quadri culturali, Atti del Congresso Internazionale di Sassari, 2000, pp. 313-366; M.G. Melis, Aspetti dell'ipogeismo nell'alta valle del Tirso, Ibidem, pp. 779-787). L. Donati ritiene invece che le domus de janas non siano mai state scavate nel granito: “I Sardi scavavano i loro sepolcri, segnatamente le Domus de Janas, in conformazioni rocciose sedimentarie (calcare) o magmatiche effusive (trachiti) e non magmatiche intrusive come le rocce di affiliazione granitica: rocce quindi che presentano una migliore lavorabilità”.
[15] Si veda M. G. Melis, Problemi di cronologia insulare. La Sardegna tra il IV e il III millennio a. C., in Cronologia assoluta e relativa dell’età del rame in Italia, 2013, pp. 197-211.  
[16] A. De Agostino, Castelnuovo Val di Cecina (Pisa). Tomba etrusca a camera  in località via Piana, in Notizie Scavi, 1953, pp. 9-10.
[17]  La planimetria è rielaborata da spazioinwind.libero.it/Etruschi.
[18] A tale proposito si veda la tomba XX (circa 6,50 x 5,20 metri) della necropoli di Angelu Rùju scavata nell'arenaria e riferita alla cultura di Ozieri, la cui cronologia di base è compresa fra il 3800 e il 2900 ca cal. (E. Contu, L'ipogeismo nella Sardegna pre e protostorica, in L'ipogeismo nel Mediterraneo: origini sviluppo, quadri culturali, Atti del Congresso Internazionale di Sassari, 2000, pp. 313-366), ma con adattamenti  e attardamenti d'uso che potrebbero arrivare fin oltre il 1000 a. C.. D'altronde sono noti sia i remoti contatti culturali fra Sardegna e Elba (cfr. M. Zecchini, Elba isola olim Ilva. Frammenti di storia, 2014, pp. 24-29, 44-46, 56-60) sia il fatto che il toponimo Ilva  - è un'osservazione del linguista Massimo Pittau - in epoche molto antiche connotava sia l'Elba stessa che l'isola della Maddalena.
[19]  A. Martelli, L. Nassori, in Annali di Archeologia e Storia antica, N.S. n. 5, 1998, pp. 81-101, fig. 6.
[20]  M. Balzani, D. Blersch, in Paesaggio antico, 2, 2007.
[21] Donati introduce, dunque, una nuova ipotesi poco convincente: l'ipogeo/neviera di Marciana sarebbe stato una sorta di centro di raccolta nel quale confluivano la neve e il ghiaccio delle neviere della Madonna del Monte e delle Calanche. Si deve aggiungere che la datazione di queste ultime è registrata dai documenti d'archivio e collocata entro la prima metà del XIX secolo: periodo al quale parrebbe, per estensione, che Donati facesse risalire la costruzione anche dell'ipogeo di Marciana. Di quest'ultimo, però, guarda caso, per quanto abbia comportato un lavoro enormemente più importante e più duraturo rispetto alle suddette neviere 'secondarie', non esiste alcuna testimonianza scritta né alcuna tradizione orale.
[22] Ancóra un' ipotesi poco credibile: un grande e inspiegabile caveau (l'ipogeo) per una assai supposta zecca molto piccola, per la cui ubicazione si brancola nel buio: è un modo, a mio avviso, non per avvicinarsi alla soluzione ma per aggiungere perplessità a una pletora di controindicazioni già esistenti.
[23]  Soprintendenza Archeologia Toscana: nota del 26-01-2016 prot. n. 1256.
[24]  Nota del 12-12-2014, prot. 15146.
[25]  Web, Wikipedia, voce 'zecca di Marciana', nota del 29-03-2016.
[26]  E. Lombardi, Santuario della Madonna del Monte, 1964.
[27]  G. Zanetti, Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia, 1775, cap. 40.
[28]  Web, L. Giannoni, in LaMoneta.it, 18 agosto 2014.
[29] Descrizione istoriografa dell'isola dell'Elba dedicata a sua eminenza il sig cardinale conte Anton Felice Chigi Zondanari arcivescovo di Siena, 1814, p. 29.
[30] Web, L. Giannoni, in LaMoneta.it, 18 agosto 2014.
[31] Così annota, parlando delle zecche in genere, L. Travaini in Le zecche italiane fino all'Unità, Roma 2011.
[32] Nota SBAT del 27-10-2014 prot. 16720.
[33]  Nota SAT del 26-01-2016, prot. n. 1256.
[34]  Nota del 15-12-2014 prot. 15146.12 014
[35]  Autrice del volume “Le ghiacciaie: architetture dimenticate”, Firenze 2008.
[36] Autrice del libro “Le neviere in Capitanata – Affitti, appalti e legislazione”, Foggia 2003.
[37]  Si veda l'efficace sintesi di F. Mallegni, L'ipogeo di Marciana: ma che zecca, ma che neviera!, in Tenews, 18 novembre 2016.


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