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lunedì 1 aprile 2013

Nuraghi e nuragici

Nuraghi e nuragici
di Massimo Pittau


Una recente trovata degli archeologi militaristi relativa ai nuraghi è che essi sarebbero serviti per
il “controllo del territorio”. Però, siccome la locuzione “controllo del territorio” implica necessariamente
il concetto di “controllo permanente”, facciamo i calcoli di quello che sarebbe stato il numero dei
guerrieri preposti a quel controllo in 7 mila nuraghi: dovendo pensare che in ogni nuraghe ci fosse una
guarnigione minima di almeno 12 guerrieri, con un turno di due ore al giorno di guardia effettiva per
ciascuno, moltiplicando 7.000 per 12, si arriva alla cifra di 84.000 guerrieri in “servizio permanente”
impegnati giorno e notte al “controllo del territorio”. Ma considerato che le guarnigioni dei nuraghi
più grandi e complessi di certo avrebbe superato il numero di 12 guerrieri, c’è da ritenere che l’esercito
dei Nuragici impegnati nel “controllo permanente del territorio” avrebbe raggiunto e superato la
cifra di 100.000 guerrieri! Che è una cifra enorme, quasi certamente superiore perfino al numero complessivo degli abitanti della Sardegna di allora, uomini e donne, vecchi e bambini! Un esercito di tale portata solamente i più potenti stati odierni, come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina possono avere
sotto le armi in maniera continuativa, cioè in “servizio permanente”!
Più recente è la tesi secondo cui i nuraghi sarebbero state altrettante “case fortificate”. Senonché è un fatto che i nuraghi non potevano costituire una dimora permanente per i Nuragici, dato che dentro di essi non si può dimorare in maniera continuativa. Nella stragrande maggioranza dei nuraghi infatti mancano lo spazio e i vani per la comune vita di una famiglia, non vi si può tenere a lungo acceso il fuoco perché manca il tiraggio e tutto lo spazio si riempie in breve di fumo, ci si trova in una permanente oscurità e, soprattutto nei mesi freddi, in mezzo al freddo e alla umidità. Ne è prova il fatto che nessuno dei nuraghi odierni che conservano ancora intatta la cupola originaria, dico nessuno risulta abitato dai pastori o dai contadini odierni. Costoro li usano solamente come ripostigli di attrezzi, come pagliai e come stalle temporanee per le bestie. Oltre a ciò non si vede quale mai ragioni potessero esistere per preferire queste assai dispendiose e grandemente scomode abitazioni alle semplice ma funzionali capanne o pinnettas nelle quali hanno di certo vissuto a lungo i Nuragici, come hanno vissuto per secoli i pastori e i contadini sardi. Non è pensabile che i nuraghi fossero “case fortificate”, in cui la difesa delle persone fosse assicurata del tutto, mentre erano anch’essi altrettante
prigioni e tombe per gli inquilini in caso di invasione e di assedio da parte di nemici.
E non si può neppure concedere che i grandi nuraghi, quelli complessi, fossero altrettante dimore
per i capitribù, altrettante “regge” per i loro regoli. Da parte di alcuni sensati studiosi è stato giustamente detto che quella dei Nuragici era una “società di uguali”, nella quale i dislivelli politici, sociali ed economici erano assai ridotti. Ragion per cui non si riuscirebbe a comprendere come e perché i sudditi si prestassero a costruire le imponenti e dispendiose “regge” per il loro capitribù, mentre essi si adattassero a vivere nelle modestissime pinnettas.

Neppure il ciclopico Nuraxi di Barumini, prima interpretato come una imponente “fortezza”, di recente
interpretato come una “Reggia Nuragica”, riesce a far tornare i conti. Perfino nel Nuraxi di Barumini che è una collina di grandi massi, ma che offre spazi interni ridottissimi – non esistono i vani per una famiglia regale e per la sua corte, servitù e guardia del corpo, non esiste la possibilità di tenere acceso
a lungo il fuoco, si vive in mezzo alla più fitta oscurità e nella cattiva stagione nel freddo e nell’umidità.
Insisto: i sudditi, che vivevano nelle modestissime pinnettas circostanti non si sarebbero affatto
prestati a costruire con mille sforzi e in tanti anni e decenni di lavoro un edificio così imponente per i loro
capitribù. A sforzi e fatiche e tempi di questo genere i sudditi si sarebbero prestati molto volentieri soltanto
in onore e per devozione alle divinità da loro venerate. In proposito è illuminante questo caso: la
famosissima “Piazza dei Miracoli” di Pisa, caratterizzata dalla presenza di tre stupendi monumenti
architettonici, Duomo Battistero e Torre, ha accanto a sé modestissimi resti delle abitazioni di quella
che era la pur potente città medioevale. E d’altronde anche in Sardegna si assiste tuttora allo spettacolo
di stupende chiese e chiesette di alcuni villaggi, circondate però da modestissime abitazioni per
i comuni abitanti. In tutti i luoghi e in tutti i tempi gli uomini hanno sostenuto sforzi e fatiche e spese
enormi per costruire i più grandiosi e più splendidi templi e santuari in onore delle loro varie divinità.
Il recente ritrovamento delle grandi statue di guerrieri nuragici di Monti Prama di Cabras ha dato l’occasione
ad alcuni archeologi di continuare ad accrescere il numero delle “stranezze” e delle “irrazionalità”
che sarebbero state proprie del popolo dei Nuragici. Si è cominciato con l’affermare che quelle statue
erano di “Guerrieri-pugilatori”, facendo con ciò intendere una cosa mai vista nella storia e presso nessun
altro popolo: che i guerrieri nuragici facessero la guerra non con le armi, bensì coi “guantoni da pugili”
(in realtà nelle statue sono raffigurati non “guantoni da pugili”, bensì “guanti-else” per la protezione della
mano destra che impugnava la spada e “guantibracciali” per la protezione del polso sinistro rispetto
allo scoccare violento delle frecce tirate con l’arco). Inoltre i “guerrieri-pugilatori”, oltre i guantoni da
pugile, impugnavano uno scudo, col quale difendevano il loro capo dai colpi ricevuti dagli avversari.
Dunque: tutti i pugili odierni danno pugni all’avversario col movimento orizzontale delle braccia tentando
di colpirlo sul viso, mentre, nella interpretazione dei moderni esegeti, i guerrieri-pugilatori davano colpi sulla sommità del capo dell’avversario con un movimento verticale delle braccia, dall’alto al basso; e appunto per questo difendevano il loro capo con lo scudo... E in questa prospettiva è stata effettuata una ricostruzione della statua di un “guerriero-pugilatore” che costituisce un portento di “falso macroscopico e insieme ridevole”: con una apposita struttura metallica e con una striscia semicircolare di cemento è stato costruito appunto lo scudo convesso sistemato sul capo del guerriero-pugilatore, ma trascurando il fatto certo che non esiste alcun tipo di pietra che consentirebbe quell’oggetto curvo e sospeso, tanto meno la friabile roccia arenaria di cui sono fatte tutte le statue ritrovate... In effetti una tale ricostruzione sarebbe stata di gran lunga più credibile se si fosse detto che i guerrieri-pugilatori si mettevano lo scudo sulla testa per ripararsi dalla pioggia...
Questi guerrieri-pugilatori poi non avevano scudi solidi e rigidi, come quelli adoperati da tutti i popoli,
ma avevano scudi flessibili e pieghevoli e li agitavano e piegavano sulla testa come se fossero stati di
feltro o di panno, con quali capacità difensive è facile immaginarsi (in realtà il personaggio rappresentato
da un bronzetto nuragico rinvenuto a Dorgali, richiamato per confronto, agita sulla testa non
uno scudo flessibile, bensì un panno bordato mostrando di coprirsi il capo per deferenza alla divinità
oppure di portarlo in dono ad essa). Lo ripeto, nessuno lo può contestare: secondo la raffigurazione che ne hanno dato alcuni archeologi, da 80 anni in qua fino al presente, i Nuragici erano un popolo caratterizzato da alcune “particolarità” tipiche, da “stranezze” uniche, da atti di comportamento “incomprensibili”, da alcune forti ed evidenti “irrazionalità”, che non si ritrovano in nessun altro popolo antico. Ma siccome queste “particolarità”, “stranezze”, “incomprensioni” ed “irrazionalità” erano del tutto antifunzionali e soprattutto assai scomode e pericolose, non resta altra soluzione che ritenere che quello dei Nuragici fosse un popolo di sottosviluppati mentali, un vero e proprio “popolo di imbecilli”. Però per fortuna da questa disastrosa prospettiva storiografica noi Sardi odierni, legittimi eredi degli antichi Nuragici, ci possiamo liberare rovesciando del tutto i termini della questione e precisamente riversando le accennate valutazioni negative sui passati e recenti esegeti della civiltà nuragica.
Nelle immagini il guerriero "pugilatore".

9 commenti:

  1. Caro professore, ho letto con interesse crescente il suo articolo, ricco di sensate osservazioni e condivisibili obiezioni, soprattutto sulla funzione dei nuraghi. Lei scrive che alcuni sensati studiosi hanno giustamente rilevato che quella dei Nuragici era una società di uguali, nella quale i dislivelli politici, sociali ed economici erano assai ridotti. In ciò sono d’accordo, e le segnalo che negli anni scorsi scrissi una serie di articoli su questo tema. Recentemente ho pubblicato sul mio ultimo libro (Sardegna l’isola dei nuraghi - Capone Editore – Novembre 2012) dedicato interamente ai nuraghi, uno studio relativo all’antropizzazione e successiva manipolazione dell’ambiente circostante, da parte di quelle genti che, individuata la risorsa idrica e i sentieri di accesso alla vallata o pianura da occupare, realizzavano una serie di edifici con varie funzioni, in totale collaborazione fra clan, condividendo ideologie, obiettivi e ruoli per realizzare il benessere comune. Una società pragmatica, intelligente, legata a divinità rappresentate aniconicamente, certamente in possesso di buone conoscenze sull’idraulica, sulla manipolazione e sovrapposizione di grandi pietre, e sulle attività legate a pesca, agricoltura e allevamento.

    Per quanto riguarda i personaggi in pietra e bronzo, erroneamente denominati pugilatori, realizzati dai nuragici intorno al Primo Ferro, lei afferma che nelle statue sono raffigurati non “guantoni da pugili”, bensì “guanti-else” per la protezione della mano destra che impugnava la spada. Vorrei che osservasse con cura il pugno chiuso di questi guerrieri, così da tentare un’interpretazione delle guglie presenti intorno alla mano. L’utilizzo di queste armi è efficace perché concentra nella punta della guglia l’energia che si sprigiona nell’esecuzione del colpo. Una sorta di pugnale cortissimo in grado di perforare con facilità ciò che aggrediva. Per quanto riguarda il materiale degli scudi, da lei interpretati come panni con i quali coprirsi il capo per deferenza alla divinità, le segnalo che la mia visione su quegli oggetti tiene in considerazione uno studio effettuato su un materiale, il lino, che presenta una serie di qualità interessanti: è leggero, facilmente lavorabile, conosciuto all’epoca e sovrapponibile in strati con l’utilizzo di resina per l’incollaggio. Una corazza, o uno scudo, realizzato appunto con la sovrapposizione di circa 20 strati di lino sagomati e incollati, presenta ottime doti di resistenza alla perforazione dalle frecce, non può essere tagliato da una spada e, soprattutto, costituisce un perfetto “ombrello protettivo” in caso di oggetti che giungono dall’alto (ad esempio una raffica di pietre o frecce lanciate da un gruppo di nemici).
    E’ interessante la sua proposta di oggetto donato alla divinità, una sorta di tappeto o tagliere in sughero, come quelli che ancora oggi costituiscono apprezzati elementi d’artigianato sardo. E’ una visione romantica, affascinante e difficile da confutare. Ma tale rimane, poiché mal si abbina abbinata al pugno armato di maglio con guglie, caratteristica che cozza contro la religiosità del gesto.

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  2. Mi lascia pittosto perplesso il meccanismo di calcolo dei militari a guardia dei nuraghi. Non ho ben capito quali siano i criteri adottati dal Prof. Pittau:

    "......12 guerrieri, con un turno di due ore al giorno di guardia effettiva per ciascuno, moltiplicando 7.000 per 12, si arriva alla cifra di 84.000 guerrieri in “servizio permanente”.....".

    Mi chiedo: sulla base di quali indizi, elementi o prove si può, anche solo ipotizzare, che in quell'epoca i turni per gli addetti ai ruoli militari, a guardia dei nuraghi, fossero di sole due ore? E le restanti 22 ore di tempo libero? Magari si dedicavano alle ordinarie attività quotidiane, agricole, pastorali, artigianali, ecc.
    Ciò mi induce a pensare che fosse la stessa popolazione, o parte di questa, quella costituita da "uomini idonei al ruolo militare", a dedicare una piccola parte del proprio tempo alla tutela degli interessi collettivi.
    Oggidì, generalmente, in tempo di pace, i turni degli addetti a questo tipo di ruolo si articolano con turni di 8 - 12 o 24 ore.
    Il prof. F. Cesare Casula ci ha raccontato che nel periodo giudicale, in caso di guerra, gli uomini abili all'attività bellica, si mettevano a disposizione, a difesa degli interessi collettivi, a turno (le mute), se non ricordo male a cadenza bi-settimanale, e si dovevano munire autonomamente di armi, viveri e vettovaglie necessarie. E lo scopo dei turni era appunto quello di consentire agli uomini, anche lo svolgimento di quelle attività, non delegabili a vecchi,donne e bambini, indispensabili alle necessità esistenziali.
    Non vorrei sembrare presuntuoso e supponente ma, mi perdoni il Prof. Pittau, almeno questa parte del suo ragionamento, mi appare palesemente arbitraria e infondata, funzionale solo a sostenere la sua pur autorevole opinione.

    Cordialmente MP

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  3. Il ragionamento di Pittau si basa sulle ipotesi di archeologi che hanno ipotizzato la funzione di fortezza militare per i nuraghi. Lui sostiene che i nuraghi fossero templi, pertanto esclude che ci potessero essere guerrieri nelle torri. E' un discorso che tende a dimostrare l'impossibilità di militarizzazione dei nuraghi.

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  4. D'accordo. Ma quella parte del suo ragionamento rimane illogica e non giova al suo ragionamento.
    Il discorso degli 84.000 guerrieri e di conseguenza le implicazioni nel discorso della consistenza della popolazione complessiva ipotizzata non reggono.

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  5. Non è una sua ipotesi (di Pittau). E' presa dai ragionamenti e dalle proposte di altri archeologi, e lui non condivide.

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  6. Per intenderci, faccio "l'avvocato del diavolo" a favore dei sostenitori l'ipotesi militarista, a prescindere da qualsiasi contraddittoria e infondata ipotesi sostenuta. Quella moltitudine di nuraghi avrebbe potuto essere presidiata (per ipotesi), a turno, dalla popolazione nuragica titolare, cantone per cantone, tranquillamente senza aver necessità di avere 84.000 guerrieri e quant'altro occupati in maniera permanente, e quindi impiegando per questa funzione notevoli risorse di quella determinata collettività. Cioè questa parte del ragionamento proposto dal Prof. Pittau, a contestazione della tesi militarista e funzionale a confutarla, secondo il mio punto di vista, non cotribuisce affatto.

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  7. Da Massimo Pittau:
    Egregio Amico Montalbano,
    1) Nei guerrieri di Monti Prama la mano è in generale indicata con rigonfiamenti per la evidente ragione che la friabilità della roccia arenaria impediva o almeno sconsigliava la indicazione delle dita. Ebbene, i rigonfiamenti talvolta potrebbero indicare dei guanti, ma su questi non c’è alcun segno che indichi che fossero guarniti di punte di metallo. Ed allora, perché continuare a ritenere e descrivere i Nuragici come un “popolo stranissimo” affermando che i suoi guerrieri combattevano coi “guantoni guarniti di punte”, cioè in un modo che non abbiamo mai saputo che combattesse nessun altro popolo antico?
    Un “guantone guarnito di punte” non sarebbe stato una vera arma. Invece le armi che i guerrieri di tutti i tempi - fino a quelli recenti in cui sono entrate in uso le “armi da fuoco” – erano queste: a) Bastoni più o meno lunghi, che appuntiti finirono col diventare o corte spade o lunghe lance, di legno oppure di metallo; b) Bastoni con testate di nodi naturali (clave) oppure di sassi strettamente legati alla cima oppure di asce infilate sulla cima.
    Io ricordo di aver visto, con notevole disagio spirituale, nel museo del Castello di Trento anche grosse clave di legno che avevano sulla cima un rigonfiamento di metallo guarnito di lunghe punte: lo adoperavano gli Austriaci nella I guerra mondiale, per dare il colpo di grazia finale ai nostri poveri soldati che giacevano per terra tramortiti dai gas asfissianti... Ma ovviamente escludo che agissero in codesto modo anche i guerrieri di Monti Prama.
    2) Sempre nella supposizione che i Nuragici fossero un “popolo stranissimo” si può continuare a pensare che i loro guerrieri usassero “scudi flessibili e pieghevoli”, adoperati anche come “ombrelli protettivi” per difendersi dai sassi scaraventati loro addosso dai nemici...
    3) Come si può accettare la “baggianata”, messa in giro dal solito archeologo, che il bronzetto di Gonone (Dorgali) che ha sulla testa un oggetto pieghevole ed “orlato”, e dunque non un recipiente rustico di sughero, sia un “pugilatore”... Molto meglio aveva visto Doro Levi (Mélanges Charles Picard, Rome-Paris 1949, pgg. 456 sgg., figg. 1-4), quando aveva parlato di un «cuoiaio», che ha le mani difese da guantoni per il suo lavoro e la protuberanza di uno di questi indica un trincetto.
    5) Mi sembra, egregio Amico, che Lei non conosca il mio libretto Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monti Prama, I ediz. 2008, II ediz. 2009, Sassari, EDES (Editrice Democratica Sarda), nel quale mi lusingo di aver dimostrato che i guerrieri non avevano affatto sul capo lo scudo, ma reggevano le travi del tempio, nella funzione di “telamoni”.
    Ed a questo proposito insisto nel dire che la ricostruzione che è stata di recente fatta, nel Centro di Restauro di Sassari, di un guerriero che ha sul capo lo scudo, a mo’ di ombrello, è un “autentico e grossolano falso”, dato che risulta fatto con una copertura di cemento e un’anima di acciaio, mentre la roccia arenaria della statua non avrebbe mai consentito una tale disposizione dello scudo.
    In ogni modo La ringrazio per le Sue osservazioni e Le esprimo i sensi della mia alta stima per le Sue doti di studioso e di operatore culturale.

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  8. Da Massimo Pittau.
    In riferimento al post di MP, il quale mi ha obiettato che non capisce la ragione per la quale, nella ipotesi dei nuraghi costruiti per il “controllo del territorio”, io abbia pensato a un turno di guardia di sole due ore al giorno.
    In realtà a me non interessava per nulla la lunghezza del turno di guardia, ma solamente il numero minimo di guerrieri che sarebbe stato necessario. E mi è sembrato che questo non potesse essere inferiore alla dozzina, altrimenti non avrebbero potuto difendere il nuraghe in caso di assedio da parte dei nemici e tanto meno avrebbero potuto controllare il territorio circostante e precisamente i valichi, le gole, i guadi, le fonti, ecc. per controllarvi la presenza o meno dei nemici.
    Ed allora, dovendo pensare che in ogni nuraghe ci fosse una guarnigione minima di almeno 12 guerrieri, moltiplicando 7.000 per 12, si arriva alla cifra di 84.000 guerrieri in "servizio permanente" impegnati giorno e notte al "controllo del territorio". Ma considerato che le guarnigioni dei nuraghi più grandi e complessi di certo avrebbe superato il numero di 12 guerrieri, c'è da ritenere che l'esercito dei Nuragici impegnati nel "controllo permanente del territorio" avrebbe raggiunto e superato la cifra di 100.000 guerrieri! Che è una cifra enorme, quasi certamente superiore perfino al numero totale degli abitanti della Sardegna di allora, uomini e donne, vecchi e bambini.

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