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giovedì 15 novembre 2012

Guerrieri e "corridori" a Monte Prama e nei bronzetti nuragici


Guerrieri "corridori" a Monte Prama
di Pierluigi Montalbano

Fra le statue dei guerrieri provenienti da Monte Prama, e ricomposte al centro di restauro di Li Punti, sono rappresentati una serie di personaggi corpulenti, abbigliati con un piccolo gonnellino a coda, e armati, sulla mano destra, di maglio metallico con guglie appuntite, simili a quei personaggi che Lilliu classifica come pugilatori nel suo libro del 1966 "Sculture della Sardegna Nuragica". La differenza che più salta all'occhio fra i due gruppi (sculture in pietra e sculture in bronzo) è la stilizzazione dei bronzetti, tale da mostrarli esili (a differenza di quelli in pietra) e non adatti ad una lotta corpo a corpo.

Ritengo, invece, si tratti in realtà corridori-terminator, ossia guerrieri con funzioni militari particolari che contribuirono, soprattutto nelle vicende del secolo XIII a.C, alla caduta dei grandi imperi del passato: ittiti ed egizi.


Il torso è nudo e i lombi cinti da un breve gonnellino svasato posteriormente a “V” dove si percepiscono i lacci che lo tenevano legato, raffigurati con cordoncini a bassissimo rilievo. Il capo è rivestito da una calotta liscia i cui due lembi ricadono ai lati del collo, al di sotto della quale escono le lunghe trecce. Il braccio destro è rivestito da una guaina in cuoio che parte dal gomito e il pugno impugna una sorta di maglio metallico. Il braccio sinistro tiene uno scudo a coprire il capo da oggetti scagliati dall’alto come avviene in battaglia. Lo scudo è leggero, flessibile, di forma ellissoidale e, secondo la mia interpretazione, doveva essere composto di strati di lino incollati con resina, a formare uno spessore di circa 3/4 centimetri. In questi giorni, un documentario trasmesso su History Channel dedicato ad Alessandro Magno, ha mostrato un gruppo di archeologi che sperimentava la resistenza alla penetrazione delle frecce di un corpetto di lino (copiato da raffigurazioni di quello del grande condottiero Alessandro Magno). Il risultato è stato l'assoluta sicurezza del lino comparata con la fragilità di un corpetto in bronzo. Risaltavano anche la leggerezza e il fatto che sotto il sole, frequente nel Vicino Oriente e in Sardegna, il lino protegge dal caldo, a differenza del bronzo che si riscalda fino a diventare insopportabile per chi lo indossa.
Questi guerrieri specializzati nel duello corpo a corpo, durante le guerre affiancavano gli arcieri e si lanciavano sul nemico moribondo per finirlo fracassandogli la testa col maglio metallico impugnato. L’equipaggiamento leggerissimo, costituito da un semplice perizoma, li avvantaggiava nei movimenti contro quei nemici abbigliati con vestiario pesante, o comunque ingombrante, tipico di chi combatte sui carri.

Con i loro dettagli raffinati come vestiario, armi, mani, pugni e corazze, possiamo affiancare le tre tipologie di statue di Monte Prama agli incantevoli bronzetti raffiguranti arcieri, spadaccini con lo scudo rotondo e corridori, realizzati dai sardi con il metodo della cera persa e che misurano appena 10-15 centimetri.
Per scoprire il ruolo dei corridori è necessario capire come si combatteva nel mondo antico. Probabilmente il fulcro di una tipica battaglia del Bronzo era la carica di due aurighi, uno contro l’altro. I carri coinvolti nei campi di battaglia erano centinaia e i guerrieri che si trovavano a bordo disponevano principalmente di un'arma pesante: l’arco composito. Si deduce che i combattimenti erano sempre a lungo raggio, e un grande polverone, oltre un fracasso terrificante, accompagnavano quegli scontri.
Naturalmente, una volta colpito il bersaglio e fermato il carro nemico, qualcuno doveva andare ad uccidere l’equipaggio. È in questa fase che entravano in gioco i “corridori-terminator”, ingaggiati per terminare l’opera nelle battaglie iniziate dai carri. Tutte le grandi civiltà del passato, dai minoici agli ittiti, sopravvivono a pestilenze, carestie e terremoti, ma soccombono di fronte a un nemico in carne e ossa, una misteriosa armata di barbari chiamata convenzionalmente “popoli del mare”. Questi invasori non hanno carri da guerra né armature, ma inventano un nuovo modo di combattere contro gli eserciti formati da carri.

Non servono costosi contingenti di soldati, basta mettere insieme un numero sufficiente di arcieri e corridori. L’arma che trasformerà questi fanti in formidabili guerrieri, è un corto giavellotto con la punta forgiata in metallo. Non erano in grado di produrre sempre ferite letali, ma quando centravano il bersaglio il carro diventava inservibile, l’auriga diventava vulnerabile e veniva circondato dai corridori. L’auriga e il suo arciere indossavano un corpetto a squame metalliche di peso variabile fra i 15 e i 20 chilogrammi, quindi non potevano fuggire e non erano in grado di difendersi in un combattimento corpo a corpo. In situazioni del genere uno sciame di corridori armati con magli metallici dotati di guglie appuntite (o spade corte) è in vantaggio in termini numerici e di mobilità. Se si riesce ad abbattere il cavallo col giavellotto da una distanza di 40/50 metri, si può accorciare la distanza di combattimento e ingaggiare un corpo a corpo con armi adatte.
I guerrieri inizialmente combattevano solo in guerre locali, ma, visto che la loro arte era molto richiesta, spesso andavano a prestare servizio dovunque fossero ben pagati. Non si trattava di armate omogenee: potevano avere origini diverse, ma formavano un corpo unico e parlavano lo stesso linguaggio delle armi. I primi eserciti erano composti in gran parte da mercenari, come avvenne in Sumeria (oggi parte dell’Iraq) nel III millennio a.C. Vennero formate delle armate, da impiegare nelle guerre che le città Stato della regione scatenavano continuamente le une contro le altre. Certamente le guerre hanno sempre favorito lo sviluppo di certe tecnologie accelerando il progresso.

La costruzione dei primi carri da battaglia segnò uno spartiacque nelle guerre dell'antichità, cambiò radicalmente il modo in cui gli eserciti si affrontavano. Erano rapidi e si manovravano con facilità, permettevano di dividere e disorientare le schiere nemiche. I carri più veloci erano inavvicinabili dalla fanteria, e gli arcieri che trovavano posizione su di essi potevano colpire con precisione mortale. L'arciere poteva colpire i nemici e tornare velocemente fra le fila del suo esercito.

Quando si dispone dei carri servono meno persone addestrate: un auriga e i lanciatori di frecce e sassi. Mentre un cavallo portava un solo cavaliere, su un carro trainato da uno o due cavalli trovano posto fino a quattro persone e quindi c'erano altre possibilità per creare un vantaggio strategico. Gli antichi egizi utilizzavano una quantità incredibile di carri che muovevano avanti e indietro per il campo di battaglia, con il rischio di scontrarsi fra loro, e occorreva la massima disciplina. Si organizzavano, quindi, in squadroni di 25 carri ognuno e in battaglia potevano impiegare fino a 1500 carri e attaccare con regolarità in punti diversi dello schieramento nemico. Gli Hyksos invasero l'Egitto con i loro carri e vi si stabilirono fondando la città di Avaris. Dalle pianure dell'Iran gli ariani mossero su carri e cavalli verso la valle dell'Indo e distrussero le grandi civiltà della regione. Nel II millennio a.C. erano tantissime le civiltà che avevano imparato a usare il carro da battaglia ed era diventato ormai una presenza costante nelle guerre del vicino oriente.

La fortuna del carro non fu circoscritta solo a queste regioni: anche i Celti lo utilizzavano per spostarsi in battaglia. Al contrario del carro leggero concepito dai Sumeri, il carro da battaglia dei Celti aveva una struttura molto più solida che ne evidenziava il diverso utilizzo: era concepito essenzialmente per travolgere le prime linee nemiche. Era usato come ariete e per questo aveva una struttura molto più pesante del carro sumero. Serviva per aprire dei varchi nello schieramento avversario.

Nelle immagini: la statua del guerriero-corridore esposta a Li Punti, il bronzetto conservato al Museo Archeologico di Cagliari.
Il disegno del corridore è di Stefano Gesh.

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