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sabato 4 settembre 2010

Tartesso - parte 2° di 3



Tartesso 2° parte,
di Mario Cabriolu.


Il fiume Tartesso di cui non parla invece il vecchio testamento, sembra generare qualche complicazione anche in chi vuole la corrispondenza Tartesso=Tharros, in Sardegna: non esiste un fiume le cui rive vadano a lambirne le mura e non è mai esistito.
Restano valide però le osservazioni di Antonelli e di tutti gli altri studiosi i quali ritengono che nelle attestazioni più antiche del nome, Tartesso facesse riferimento ad un territorio più che ad una città.
Nell'area del golfo Tartessico sardo, l'attuale golfo di Oristano(6), sfocia il fiume più importante dell'isola, il Tirso, il Thyrsos degli autori classici (che coincide nella successione consonantica con la Tharshish biblica) che ha le sue sorgenti nel Gennargentu.
La complicazione è dovuta all'assenza di giacimenti di stagno in terra sarda o per lo meno nelle regioni attraversate dal Tirso. Come poteva quindi tale fiume trasportare il nobile metallo fin dentro le mura della città?
Riteniamo di poter proporre per tale problema una soluzione, originale, rivoluzionaria, ma quasi ovvia se trasliamo il mito in questione dall'attuale Atlantico al Mediterraneo occidentale.
Tale problema è strettamente legato ad un altro degli enigmi riproposti da Frau e ai quali lo stesso autore ha dato una risposta: le Cassiteridi. Si tratta delle mitiche isole dello stagno (cassiteros=stagno) ricordate da molti autori classici e localizzate abitualmente al di là delle Colonne d'Ercole, in pieno Atlantico.
Alcuni le tramandano come isole dal quale proveniva lo stagno (coinciderebbero con la Britannia), altri come le isole attraverso le quali veniva trasportato via mare lo stagno estratto dalla Britannia. Con quest'ultimo significato le Cassiteridi non erano altro che dei ponti, delle tappe obbligate lungo il trasporto via mare di stagno e argento nordico.
I geografi greci, nelle loro descrizioni delle terre e dei mari conosciuti, ci hanno tramandato alcune informazioni talmente discordanti dalla realtà che ancora oggi suscitano dibattiti e differenti interpretazioni. Si tratta di alcuni errori(7) tanto macroscopici che sono diventati emblematici:
1) si riteneva che l'Oceano fosse un grosso fiume le cui correnti scorrevano attorno a tutta la terra: così a più riprese è detto nell'Iliade, nell'Odissea e nella Teogonia di Esiodo.
2) il controverso lago Tritonide della Libya ad esempio, controverso proprio per l'attributo "lago" tramandato dai greci, coincide con l'attuale piccola Sirte…mare quindi e non lago.
3) la palude (o lago) Meotide, l'attuale mar d'Azov, è un'ulteriore esempio.
4) rientra nell'elenco anche il lago Ligustino di Avieno, sicuramente coincidente col mar Ligure.
I naviganti sapevano perfettamente di volta in volta in quali "acque" si trovavano: le acque poco profonde e calme del mare Tritonio furono interpretate dai fruitori della notizia come acque lacustri; le correnti dell'Oceano, divennero le acque del fiume Oceano.
I mercanti greci, di fronte alla distesa del mare che circondava le coste occidentali sicule, potevano scegliere fra tre direzioni possibili :
1) l'attraversamento del canale di Sicilia verso il Promontorio Ermeo, l'attuale capo Bon tunisino, visibile dal promontorio Lilibeo.
2) la navigazione "a vista" verso nord-est(8), lungo la costa siciliana.
3) la navigazione verso ovest/nord-ovest, verso l'ignoto.
I naviganti che sapevano di quell'isola in mezzo al mare occidentale, sapevano anche che per arrivarci, bisognava prendere la giusta corrente, aspettare quei venti di levante che come un dio avrebbero spinto le navi direttamente a Tartesso. Quella corrente per i naviganti era come uno stretto sentiero: sbagliare direzione era estremamente rischioso.
"La corrente del Tartesso ti trasporta fino all'isola, dove si divide in due rami che la circondano, e nell'isola c'è la città di Tartesso"…forse è proprio così che i primi naviganti descrivevano la traversata e quella corrente divenne, nella penna degli antichi geografi, così come per l'Oceano, quella di un fiume, il fiume Tartesso.
Quel fiume, con partenza da Tartesso, seguiva due distinte rotte, una verso nord, verso le coste Celtiche, una verso sud, verso la Libya o la Sicilia. Cambiando riferimenti quel fiume era la corrente, dotata di partenza e arrivo, e quindi di due distinte sorgenti, sulle opposte coste continentali.
Tartesso era il braccio di mare che metteva in comunicazione le coste dell'attuale Provenza con le coste nord Africane da una parte e le coste della Magna Grecia dall'altra attraverso la catena di isole Sardo-Corsa.
Il fiume Tartesso, i cui flutti trasportavano il minerale fin dentro le mura della città, coinciderebbe allora con quella via dello stagno non meglio specificata che aveva alcune tappe intermedie nelle Cassiteriti. Quella via è stata da tempo riconosciuta come importante rotta dei commerci nel Mediterraneo occidentale.
Lo stagno proveniente dalla Britannia o dall'attuale centro Europa raggiungeva in vario modo quel tratto di costa e da lì veniva messo a disposizione dei mercanti che battevano le vie di collegamento con i principali centri di smistamento verso le ricche popolazioni dell'oriente. Abbiamo a tal proposito una singolare testimonianza da parte di Strabone nella Geografia, Libro III,2.9, dove, descrivendo le ricchezze minerarie dell'Iberia, e in particolare della Turdetania, dice: "lo stagno, secondo Posidonio, non si trova in superficie, come ripetono gli storici, e viene perciò estratto nelle miniere; si produce tra i barbari che abitano oltre i Lusitani e nelle isole Cassiteridi; viene anche portato fino a Massalia dalle isole della Britannia".
Oltre allo stagno abbiamo documentati i traffici dall'area Baltica a tutto il mondo occidentale di allora di un'altra preziosissima sostanza: l'ambra. Una delle vie commerciali più battute era quella che attraverso l'Europa centrale giungeva fino al Rodano e da lì a sud verso le coste mediterranee: abbiamo visto in precedenza come Erodoto sapesse di un unico mercato per lo stagno e l'ambra provenienti dall'occidente.
Sulle Cassiteridi poi, oltre all’intuizione di Frau che nella Molibodes nesos, l'isola del piombo di Tolomeo, l'antica isola di S.Antioco, vede una delle isole dello stagno(9), ricordiamo quanto abbiamo già detto prima e cioè di come quelle isole fossero intese quali ponti, lungo la rotta commerciale dei metalli in occidente.
Riportiamo la testimonianza del Pais (fine XIX sec.): "Presso alla punta più a nord ovest della Sardegna giace una curva isoletta che anticamente era detta Herculis insula. Se si pone mente alla sua posizione, se si considera che i suoi due buoni approdi servono di rifugio anche oggi alle navi che vengono dalle coste della Francia, si troverà alquanto probabile che ivi fosse un'antica stazione marittima fenicia"(10).
L'Isola in questione è quella dell'Asinara, notissima sin dall'antichità proprio per la sua posizione lungo le rotte nord-sud e viceversa. Quest'isola, insieme a quella di Mal di Ventre, insieme alle isole di S. Pietro e S.Antioco poteva costituire l'insieme delle Cassiteridi: in questo contesto Tharros aveva una posizione fenomenale, di importanza strategica primaria.
Dovremmo a questo punto trovare testimonianze dell'esistenza della "rotta" a prescindere dai traffici greci o fenici e trovare la prova di scali commerciali Tartessi (Sardi) nell'attuale Francia meridionale risalenti al periodo precedente lo sviluppo delle colonie elleniche.
Ecateo di Mileto, il geografo del VI-V a.C. nella sua Periegesi, opera geografica della quale ci sono pervenuti solo pochi frammenti, ricorda, nei pressi di Massalia, la città celtica Nyrax. Il genitivo aveva la forma Nyracos, radice Nyrac-, che si legge Nurac, con la "u" alla francese. Ecateo la segnala come città celtica ma ciò non costituisce una particolare difficoltà per associarla ai vari Nura, Nurra, Nora, Norace presenti in Sardegna(11).
Quella città era sicuramente uno degli empori tartessici in terra Celtica, una delle stazioni navali da cui le merci provenienti dall'Europa centrale prendevano il mare verso l'Isola e da lì verso i ricchi mercati orientali.
Un'altra sbalorditiva testimonianza è presente nell'Ora Maritima di Avieno. Là dove descrive la costa Mediterranea a oriente rispetto ai Pirenei dice :
"Tutti questi luoghi si trovano nelle vicinanze dei flutti e delle correnti marine. Il territorio nell'interno, invece, era un tempo completamente in possesso dei selvaggi Cereti ed Ausocereti: oggi costoro appartengono entrambi alla gente degli Iberi [ulteriore conferma della presenza di Iberi al di qua dei Pirenei n.d.a.]. Il popolo dei Sordi, infine, abitava in contrade sperdute, fra tane d'animali(12), in un paese che, dalle boscose vette dei Pirenei, si estendeva fino al mare interno: essi avevano ampio potere sulla terra e sulle acque. Ai confini del territorio dei Sordi, sul limitare dei Pirenei, si dice che un tempo sorgesse una ricca città, dove spesso gli abitanti di Massalia venivano a scambiare le loro merci. Dopo la catena dei Pirenei si aprono le spiagge del litorale Cinetico, che il fiume Roscino solca per un bel tratto. Questa regione è territorio dei Sordiceni, come ho detto"(13).
Antonelli non dice nulla su questi Sordi che avevano potere sulla terra e sulle acque nei pressi dei Pirenei.
Lo stesso popolo è ricordato anche da Plinio col nome di Sordoni. I due nomi, Sordi e Sordoni, a meno della prima vocale, ricalcano i due nomi con cui gli autori classici facevano riferimento alle genti e alle cose dell'isola: Sardi e Sardoni.
Non crediamo si tratti di un'altra fantasia o di un'altro strafalcione interpretativo avieneo: l'autore latino tramanda un'informazione attendibile e antica sulla presenza di Sardi nel continente europeo, fatto comprovato dalla contemporanea citazione in quei pressi di un litorale Cinetico.
Vediamo ora alcuni documenti che attestano, alcuni in maniera inequivocabile, un legame fra la seconda isola del Mediterraneo e la mitica Tartesso.
La prima testimonianza è meno diretta delle seguenti perché non lega con precisione Tartesso alla Sardegna ma la pone lontana dall'Atlantico e vicina alla Corsica. Si tratta del famoso racconto di Erodoto delle esplorazioni Focee in occidente e del re di Tartesso Argantonio. Frau ha commentato il passo in maniera magistrale tanto che non ci sentiamo di aggiungere nulla. Lo straordinario lavoro di Sanna ha portato ulteriori prove documentali sulla probabile esistenza, in Sardegna, di un re Argantonio.
Sallustio e Pausania ci hanno raccontato di come il condottiero iberico Norace avrebbe fondato Nora, la città più antica della Sardegna, dandole il proprio nome. Più tardi Solino completa la notizia dichiarando Tartesso madrepatria di Norace.
È difficile interpretare questo passo anche perché in esso vi è una delle più antiche attestazioni del nome dell'edificio che è sinonimo di Sardegna, il Nuraghe. La notizia potrebbe rientrare fra le tante favole di fondazione proposte da autori classici, se non costituisse un'anomalia proprio da questo punto di vista.
I greci, imitati in questo dai latini, costruivano i miti sulla civilizzazione dei popoli o sulla fondazione di città, per dimostrare la legittimità, da parte loro, della sottomissione o dell'aspirazione alla conquista di quel dato popolo o città : è il caso della Sardegna, civilizzata da Aristeo, edificata da Dedalo, conquistata da Iolao…
Nel caso di Nora la notizia ci viene riferita da Pausania che sembra riprenderla da Sallustio il quale si rifà forse a Timeo, autore del IV-III a.C
Tartesso è quella località/città dell'occidente che non deve niente all'azione civilizzatrice ellenica; è una sorta di isola ricca e felice che fa quasi ombra alla grandezza ellenica, tanto che il mitico re Argantonio si è permesso il lusso di finanziare la ristrutturazione delle mura della città di Focea e di offrire nuova terra per concedere una nuova patria per i Focei in fuga.
Perché un greco, dopo aver costruito a tavolino la storiella dell'arrivo in Sardegna di Aristeo e di Dedalo al suo seguito, come portatori di civiltà (avrebbero insegnato agli abitanti locali la coltivazione dell'ulivo e l'edificazione dei Nuraghi), avrebbe dovuto inventarsi la fondazione della prima città in terra sarda da parte di un condottiero iberico-tartessico?
La notizia a ben vedere potrebbe non essere una pura invenzione e potrebbe addirittura far riferimento al mito di fondazione tramandato dai cittadini della città sarda. Che Tartesso fosse in Iberia come abbiamo già visto era ormai più che una convinzione per gli autori latini che interpretavano gli antichi miti a loro modo.
Quest'ultima ipotesi è sostenuta anche da un'altra prova concreta, la più concreta mai trovata dell'esistenza storica di Tartesso. Il documento più antico, per altro molto controverso, che parlerebbe della nota località è stato ritrovato in Sardegna, nelle campagne di Pula, vicino a Nora. Si tratta della famosa iscrizione in caratteri fenici ritrovata nel XIX secolo e da allora oggetto di studi da parte di moltissimi esperti che hanno fornito diverse traduzioni anche molto discordanti fra loro, indice questo di grosse difficoltà interpretative.
La prima riga però per la maggior parte degli studiosi dovrebbe leggersi b-TRShSh = in T(a)rsh(i)sh, ovvero "in Tartesso".
È la prova che Nora in antichità avrebbe avuto anche il nome di Tartesso; è la prova che la Sardegna ha avuto la sua Tartesso, probabilmente l'unica mai esistita.
Tutto questo sembra non lasciar molto spazio ad altre possibilità: è Nora la mitica Tartesso? Teniamo presente che Sallustio e Pausania sanno di Norace che giunge a Nora dall'Iberia. Frau ci ha ricordato che per gli antichi il termine iberia in origine era sinonimo di "occidente" e solo con la definizione precisa della geografia dell'ovest ha coinciso con l'attuale penisola Iberica. È possibile quindi che Norace arrivasse dall'occidente...da quale ?
Anche la scomparsa del nome Tartesso nell'area di Pula deve farci riflettere: appartenendo probabilmente il nome TRShSh al sostrato mediterraneo è difficile che qualcuno si fosse preso la briga di cambiarlo in Nora nome altrettanto antico e altrettanto indigeno.
Della città non si sa più nulla dalla fine del VI a.C. Nella Spagna sud occidentale i Punici non arrivarono se non a cavallo delle prime due guerre che li videro contrapposti ai romani; in Sardegna i Punici combatterono, subirono delle sconfitte e presumibilmente ebbero la meglio alla fine, proprio a cavallo fra VI e V a.C.
Se i Punici avessero sconfitto gli eserciti di Tartesso e distrutto o, nella migliore delle ipotesi, occupato la città, difficilmente riedificandola le avrebbero assegnato un nome tanto sardo che più sardo non si può. Le avrebbero lasciato lo stesso nome oppure, data l'enorme fantasia di cui erano solitamente dotati, le avrebbero affibbiato il solito nome di "Città Nuova". Tale circostanza diventerà un'abitudine solo qualche secolo dopo.
È possibile che i Punici, consapevoli dell'importanza della conquista effettuata e volendo comunque onorare una città che aveva contribuito all'ascesa della propria madre Tiro abbiano optato per un nome che fosse una dedica alla Tiro Fenicia. Il Fara descrivendo l'entroterra di Tharros dice: "S.Marco di Sinis: si estende tutta in pianura sul versante occidentale, si incunea fra i monti Menomeni ed il corso del fiume Tramatza per giungere sino ai confini del Montiferru. Vi si erano un tempo insediati i Celsitani, popolazione menzionata da Tolomeo, e scomparve l'antica città nota allo stesso come Tharros e nella "Storia di Sant'Efisio" ed in altri antichissimi documenti come "Tiro". Questo passaggio del Fara è utilizzato dal Wagner per evidenziare la radice comune del sardo Tharros e dell'ebraico Zar con cui era nota l'antica Tiro. È possibile allora che fosse Tharros e non Nora l'antica Tartesso?

Note

6 La configurazione del Golfo di Oristano sembra ricalcare perfettamente la descrizione avienea del golfo Tartessico, chiuso dai due opposti promontori : la Rocca di Gerione e il promontorio del Tempio sarebbero il capo S.Marco e il capo Frasca. Per ulteriore conferma riportiamo la breve descrizione effettuata dal Fara, intorno al 158 : "Sede della diocesi era l'antica città di Tirrha o Thurra menzionata da Tolomeo, proprio sul promontorio di San Marco che, proteso sul mare per lunghissimo tratto forma e racchiude, insieme ad un altro promontorio detto Frasca, il vastissimo golfo di Oristano, in grado di accogliere flotte di qualsiasi entità" nella traduzione di M.T.Laneri tratta da I.F.Farae, Opera 1 In Sardiniae Corographiam, ed. Gallizzi, Sassari 1992, p.191.
7 Forse sarebbe meglio dire che l'errore è stato commesso dai vari interpreti delle notizie. I naviganti sapevano perfettamente in quali "acque" navigavano.
8 Non stupisca la rotta verso nord-est lungo la costa settentrionale della Sicilia; basta osservare rapidamente le carte tolemaiche della Sicilia e vedere che quella era allora il presunto orientamento di quella costa.
9 S. Frau, Le Colonne d'Ercole, op. cit., p. 102
10 E. Pais, Sardegna prima del dominio romano, Roma 1881
11 Sui celti è utile riferire quanto ha detto D. Harden, uno dei maggiori esperti in materia: "A proposito del loro vero nome, i Greci lo scrivevano Keltoi, come lo appresero direttamente dalla pronuncia locale. Eccezion fatta per l'uso di questo nome per un gruppo tribale in Spagna, come già si è detto, sembra che altrove sia stato usato a includere tribù di nomi differenti; questa evidenza è però basata su fonti più recenti di Erodoto. Il nome "Celti" non fu mai applicato dagli antichi scrittori alle genti della Britannia e dell'Irlanda, per quanto se ne sa, e non c'è nessuna prova che le genti del luogo usassero questo nome per designare se stesse. Ciò non esclude però, che alcuni isolani fossero Celti, ma in questo caso ci si deve basare su prove differenti. Nella maggioranza delle loro applicazioni moderne, le parole "Celta" e "Celtico" entrarono nell'uso, come risultato del sorgere del movimento romantico, dalla metà del XVIII secolo. (…) Circa un quarto di secolo dopo la morte di Erodoto, l'Italia settentrionale fu invasa da barbari che vi giungevano attraverso i passi alpini. Questi invasori erano i Celti, come è dimostrato dai loro nomi e dalle descrizioni, ma i Romani li chiamarono Galli da cui derivarono i nomi di "Gallia Cisalpina" e "Transalpina". Polibio, che scrisse più di due secoli dopo, si riferisce a questi invasori col nome di Galati, parola che fu poi largamente usata dagli scrittori greci. D'altra parte Diodoro Siculo, Cesare, Strabone e Pausania riconobbero che Galli e Galati erano gli equivalenti di Keltoi-Celti; Cesare chiarisce inoltre che i Galli del suo tempo si davano il nome di Celti…".
12 La questione ci porterebbe abbastanza fuori tema, anche se solo apparentemente; facciamo rilevare che anche in tal caso la semplice citazione dei Celti da parte di Erodoto come di popolo fra i più occidentali dell'Europa (secondi solo ai Cinesi-Cineti), ha condizionato tutti gli autori successivi che hanno parlato sempre e comunque di Celti anche in totale assenza e di precisi caratteri etnici, di lingua, di costumi e anche quando lo stesso nome di Celti non era conosciuto dalle popolazioni a cui veniva attribuito ! Le città Celtiche del sud dell'attuale Francia erano semplicemente non-elleniche.
13 Facciamo notare quanto contrasti la descrizione delle dimore dei Sordi (tane di animali) col fatto che più avanti li si definisca dominatori della terra e delle acque. Questo fatto ci ricorda il modo di vivere dei Sardi delle montagne così come riferito da Strabone. Il Motzo nel 1926 dimostrò il fraintendimento degli autori greci che tradussero i termini sardi Nora e Nurax, per loro sconosciuti, con i verbi greci nyreo, nyrizo, nyro, nytto che indicano tutti l'atto di scavare. Anche i Sordi vivevano in dimore chiamate Nura, Nora e simili?

fonte: http://www.sardolog.com/perso/tartesso/fiume.htm

Domani la 3° e ultima parte.

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