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sabato 21 agosto 2010

La Stele di Nora - 1° parte - scrittura dell'età fenicia


La Stele di Nora
Attualmente le fonti scritte più antiche sui sardi sono i documenti egizi ma la Stele di Nora è altrettanto importante perché in essa sono presenti le lettere SHRDN, testimoni che questo termine era presente in Sardegna già nel IX a.C. Il fatto che alcuni studiosi sostengano che la stele sia scritta in fenicio non dice che sono stati i fenici a chiamare così la Sardegna, anzi è più ragionevole pensare il contrario e cioè che quei navigatori levantini siano arrivati su un'isola che già nel IX a.C. si chiamava SHRDN. L'orientamento prevalente è che i Popoli del Mare venissero da est e poi, raggiunto l'Egitto, abbiano occupato le isole dell'occidente per cui la Sardegna e la Sicilia hanno questo nome da Shardana e Shekeles e gli Etruschi da Twrsha. In effetti nel XIII e XII a.C. quando la civiltà nuragica era nella sua massima esplosione non era possibile che dall'esterno arrivassero in Sardegna popoli che potessero sgretolare il sistema di fortificazioni e di occupazione del territorio della civiltà nuragica, inoltre sappiamo che la Sardegna in quegli anni era nel suo massimo fulgore di architettura e di cultura materiale mentre i grandi imperi del Mediterraneo erano messi in crisi dai popoli del mare.
D’accordo con Ugas, possiamo dunque affermare con certezza che gli Shardana vivessero nell’isola già alcuni secoli prima di riversarsi in oriente coalizzandosi con gli altri popoli del mare.
I documenti egiziani ci restituiscono un quadro molto complesso di quello che era il Mediterraneo in quel periodo. Abbiamo attacchi di popolazioni occidentali all'Egitto: i Lebush, i Meshwesh e altre popolazioni dal Nord Africa attaccano i faraoni. Viene da chiedersi perché potevano muoversi solo le popolazioni nordafricane. Questi popoli non vivevano vicino all'Egitto: i Meshwesh sono interpretati come i Maxwess di Erodoto che abitavano vicino al lago Tritonio in Tunisia, cioè di fronte alla Sardegna. I Sardi avrebbero potuto facilmente sbarcare in Tunisia e poi fare come i Meshwesh, procedendo a piedi verso l'Egitto.
Gli Egiziani non considerano mai i Lebush come uno dei Popoli del Mare ma le fonti egizie registrano questi attacchi dei Lebush e poiché ci sono rapporti tra i Lebush, i Meshwesh e gli Shardana perché dovremmo escludere l'ipotesi più ragionevole?
In passato le analogie tra sardi e Shardana avevano un grosso ostacolo perché non si capiva come e quando si fosse formata la civiltà nuragica. Il XIV a.C. sembrava troppo alto ma oggi quel secolo vede già una civiltà nuragica matura e sviluppata e quindi capace di produrre un notevole incremento demografico in Sardegna e un conseguente movimento migratorio. I soldati mercenari sardi in giro per il Mediterraneo preannunciano l'esigenza che i sardi avevano di spostarsi dalla Sardegna. In Egitto ci arrivavano a varie riprese, in continuazione: gli Shardana e le loro navi sono rappresentati dagli egiziani così come i sardi sono rappresentati dai bronzetti che mostrano un mondo mitico. Sono una documentazione dell'epopea dei sardi come il mondo eroico dei poemi omerici e gli oggetti dell'artigianato etrusco.
Abbiamo ancora tante lacune sulla storia antica della Sardegna. Molti studi sono stati fatti negli ultimi due secoli e tuttavia non conosciamo le sepolture fra VIII e VI a.C. Abbiamo solo pochi dati. Non conosciamo abitati di interi periodi. Abbiamo pochissimi dati sui templi e questa carenza coinvolge anche la scrittura perché si scriveva sulle pietre dei sepolcri o in contesti sacri, quindi non dappertutto. Sono stati fatti molti passi avanti grazie a tanti studiosi illustri: Spano, Taramelli, Lilliu e altri, ma ci mancano tanti tasselli per capire la storia sarda.
Abbiamo pochi dati sul periodo tra il XVI e il XIV a.C., sui protonuraghe per esempio. Ugas conta oltre 8000 nuraghe e 3000 abitati nuragici, alcuni come Barumini, altri più piccoli e altri più grandi. Abbiamo scarse informazioni sulla consistenza, sulla cultura materiale, sull'architettura e sulla vita di questi abitati.
Attraverso il nostro patrimonio culturale capiamo che i cambiamenti che hanno interessato la Sardegna nei secoli sono legati alle altre civiltà mediterranee e ciò che univa i popoli del Mediterraneo era il mare, elemento di comunicazione e non di divisione. Inoltre le vie terrestri non erano sicure: certe popolazioni sacrificavano gli stranieri e forse era meglio non incontrarle sul proprio cammino, meglio andare per mare.
Ma ritorniamo alla lettura della stele dicendo che questo poderoso manufatto in pietra risale almeno al IX a.C. e rappresenta il più antico documento scritto della storia occidentale dopo le tavolette in bronzo nuragiche scritte di Tzricotu, rinvenute a Cabras nel 1995, risalenti al XII a.C.
Comunque, la Sardegna vanterebbe il fatto di aver posseduto, in periodo cosiddetto nuragico (Bronzo Finale), un codice di scrittura molto prima degli Etruschi, dei Romani e dei popoli italici. La stele fu ritrovata in un muretto a secco vicino alla chiesa di Pula, nella costa sud della Sardegna a circa 40 km da Cagliari. Pula rappresenta il moderno centro urbano che trae origine dall'antica città di Nora, una delle prime città Sardo-levantine. Visibile al Museo Archeologico Nazionale, la stele ci svela il primo scritto fenicio mai rintracciato a Ovest di Tiro.
Qualcuno sostiene che i nuragici non scrivevano in base a considerazioni legate all’ipotesi di una civiltà isolana barbarica, non mercantile, non dipendente da una economia di largo respiro mediterraneo. Una civiltà ritenuta isolata perché isolana, di cultura rozza e brillante nello stesso tempo, ma di una marginale terra dell’Occidente del Mediterraneo.
Riflettiamo su ciò che attualmente propongono le fonti.
L'epigrafe recherebbe scritto b Trss (in Tartesso) e b srdn (cioè in Sardegna), o farebbe riferimento al popolo degli Shardana che popolavano la Sardegna nel Bronzo e che facevano parte della coalizione dei Popoli del mare, quelli che posero fine nel 1200 a.C. ai grandi imperi del passato.
Secondo alcuni studiosi il contenuto della stele non riguarderebbe Tartesso, mitica città andalusa mai trovata, ma Tharros città nella quale, così come a Corras/Cornus, era venerato un Dio denominato AB SRDN (padre signore o giudice). Si potrebbe ipotizzare, in alternativa, che Tartesso e Tharros siano la stessa città.
Il documento quindi, per quanto scritto in fenicio, non sarebbe fenicio ma riguarderebbe il Sardus Pater dei nuragici. Ciò sembra dimostrare, insieme ad altri documenti, un coccio nuragico rinvenuto in Orani (prov. di Nuoro) negli anni Novanta che contiene la stessa tipologia di scrittura e lo stesso contenuto sintattico e lessicale, e ancor di più un ciondolo, rinvenuto nell’estate 2008 in territorio oristanese, che reca in scrittura fenicia arcaica la scritta BD AB SRDN che significa “servo del padre signore giudice”.
Negli ultimi due secoli molti studiosi hanno tentato di misurarsi con la traduzione della Stele di Nora ed ogni tentativo ha lasciato una versione radicalmente diversa. Attualmente soltanto metà delle lettere mostra distintamente il solco tracciato dal lapicida, mentre le altre possono essere percepite solo dopo un’attenta osservazione degli sfarinamenti prodottisi nel tempo. Trovata nel tophet, la stele fu utilizzata per la costruzione della casa del guardiano.
Oggi il testo è leggibile più che altro per la vernice che rimarca ogni lettera. Il team di scienziati che ha coraggiosamente deciso di marcare le lettere con la vernice rossa deve avere avuto qualche problema. Alcuni studiosi affermano che ad esempio, la prima lettera della seconda riga è stata rimarcata come una W ma potrebbe essere una N (ricordando che i segni fenici si leggono da destra a sinistra).
Salvatore Dedola afferma che in certi libri i caratteri sono alterati rispetto a quelli lapidei. Ad esempio, secondo lo studioso l’osservazione diretta della riga sesta della lapide mostra 6 lettere e non 7. Quindi la settima lettera sarebbe da togliere. Inoltre alcune lettere fenicie cambiano significato secondo l’inclinazione. Nella settima riga, la sesta lettera è R e non D come riportato in alcune traduzioni. Lo studioso sostiene, inoltre, che i traduttori avrebbero dovuto notare anche le incertezze del lapicida nello scolpire la stele e dovevano poi utilizzare il dizionario fenicio per capire a fondo la correttezza lessicale delle parole.
Dedola afferma anche che a riga 4 il lapicida aveva inizialmente scritto una N ma notato l’errore in corso d’opera, corresse in M, vista la possibilità di aggiustarla con poco danno; a riga 8 credendo d’operare secondo le intenzioni del committente scrisse d’impulso una M (sbagliando, perché proprio lì occorreva invece una N, che a quel punto non fu più possibile cambiare considerata la grafia complessa della M). In ogni modo, con l’aiuto del dizionario fenicio il testo può essere tradotto con una certa sicurezza. Il testo, secondo Semeraro, è:
Et rš š ngr š Ea b Šrdn šlm et šm sbt mlk t nb nš bn ngr lpn j
Ma forse il Semeraro non ha letto la stele nell’originale, altrimenti non avrebbe sbagliato la traduzione, che per lui è:
Et (Accanto è) rš (il sacello) š (quello che) ngr (l’ambasciatore) š (di) Ea (Ea) b (in) Šrdn (Sardegna) šlm (ha edificato) et (questa) šm (memoria) sbt (*) (esprime il voto) mlk (che il re) t (per iscritto) nb (espone) nš (elevi) bn (la costruzione) ngr (l’ambasciatore) lpn (davanti) j (all’isola).

Nell'immagine la Stele di Nora esposta al Museo di Cagliari prima del restauro della primavera 2010.

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